Una nuova ricerca che interessa la malattia di Alzheimer ha individuato 11 varianti genetiche rare. Lo studio è partito dall’osservazione di 19 diverse famiglie che vivono nello Utah, colpite dal morbo di Alzheimer più frequentemente di quanto fosse considerato normale.
La ricerca, portata avanti dal ricercatore Justin Miller, Ph.D. dell’Università del Kentucky Sanders-Brown Center on Aging, è stata pubblicata sulla rivista scientifica Alzheimer’s & Dementia.
Malattia di Alzheimer: ecco come è avvenuto il sequenziamento genetico delle 19 famiglie
Per lo studio, il sequenziamento genetico è stato condotto su due cugini di ciascuna delle 19 famiglie. Miller afferma di aver quindi identificato varianti genetiche condivise tra entrambi i cugini: “Abbiamo quindi utilizzato una serie di criteri di filtraggio per identificare varianti genetiche rare che molto probabilmente contribuivano all’eccesso di MA in ogni famiglia”, ha spiegato l’esperto.
Gli scienziati hanno scoperto 11 varianti genetiche rare che abbracciano 10 geni, comprese varianti precedentemente sconosciute in due noti geni del rischio di malattia di Alzheimer.
“Identificare le persone con un rischio maggiore di malattia di Alzheimer prima che diventino sintomatici può portare a interventi più tempestivi e più efficaci“, ha spiegato Miller. “Inoltre, la nostra metodologia per analizzare i pedigree ad alto rischio può essere utilizzata per dare la priorità a varianti genetiche rare che probabilmente contribuiscono alla malattia”.
Miller afferma che, sebbene questa scoperta non avrà un impatto immediato sulla cura del paziente, credono che l’identificazione delle varianti genetiche associate alla malattia sia il primo passo per identificare potenziali bersagli farmacologici che possono essere utilizzati per sviluppare terapie.
Malattia di Alzheimer: a che punto siamo in Italia?
Il morbo di Alzheimer, secondo una stima fatta nel 2020 colpisce 600.000 persone solo in Italia e 48 milioni nel mondo. Considerata la principale causa di disabilità in età avanzata, non. Si conoscono ancora le dinamiche che generano la malattia.
Nonostante questo, la ricerca scientifica non si arrende e continua a portare nuovi risultati, che rendono la strada verso cure più efficaci, meno incerta. Ad oggi, sono già fruibili approcci innovativi per la riabilitazione cognitiva, anche a distanza, e nei giorni scorsi è stato annunciato il primo farmaco in grado di contrastare la progressione della malattia, Aducanumab, di cui abbiamo parlato in modo esaustivo in un articolo precedente.
Secondo il il dottor Sandro Iannaccone, primario dell’unità di Riabilitazione Disturbi Neurologici Cognitivi-Motori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, per gli individui malati di Alzheimer in forme iniziali e medie, la riabilitazione può diventare fondamentale per rallentare significativamente la progressione della malattia, migliorando la qualità della vita del paziente e della sua famiglia: “Con lo scoppio della pandemia Covid-19, l’impiego delle tecnologie di teleriabilitazione, che già si era dimostrato molto comodo ed efficace per i nostri pazienti, ha subito un’ulteriore accelerazione”, ha spiegato lo scienziato.
Il servizio di telemedicina del San Raffaele, ha garantito la possibilità per i pazienti di potersi dedicare a sessioni di riabilitazione lavorando a casa: “Una volta definito il programma riabilitativo, il paziente viene seguito a distanza da psicologi e logopedisti che, attraverso un software dedicato, propongono esercizi visivi ed acustici di complessità sempre crescente, volti alla riabilitazione della memoria e a quella neuropsicologica,” conclude Iannaccone.