Per milioni di anni, i grandi erbivori (ai mastodonti ai cervi giganti, passando per antichi rinoceronti) hanno modellato i paesaggi della Terra, ma cosa succede agli ecosistemi quando queste creature scompaiono? Un nuovo studio pubblicato su Nature Communications ci racconta una storia sorprendente: nonostante estinzioni e rivoluzioni ambientali, la natura ha saputo mantenere l’equilibrio. Fino ad ora.
Un ecosistema da 60 milioni di anni
Un gruppo internazionale di scienziati, guidato da ricercatori dell’Università di Göteborg, ha analizzato oltre 3.000 fossili di grandi erbivori, coprendo un arco temporale di ben 60 milioni di anni. L’obiettivo? Capire come si sono evoluti questi animali e il loro impatto sull’ambiente.

“Abbiamo visto che gli ecosistemi con grandi erbivori sono rimasti straordinariamente stabili, anche quando alcune specie si estinguevano e altre prendevano il loro posto”, ha spiegato Fernando Blanco, primo autore dello studio.
Ma non è sempre andata così liscia: due volte, nella storia del nostro pianeta, gli equilibri si sono completamente rimescolati.
Due eventi che hanno cambiato tutto
Il primo evento che ha cambiato tutto: circa 21 milioni di anni fa, il movimento dei continenti chiuse un antico mare (il Mar di Tetide) e aprì un collegamento terrestre tra Africa ed Eurasia. Questo corridoio naturale scatenò un’ondata di migrazioni, con animali come gli antenati degli elefanti che si spostarono verso l’Europa e l’Asia; insieme a loro, anche cervi, rinoceronti e altri erbivori iniziarono a colonizzare nuovi habitat, ridefinendo completamente la fauna globale.

Il secondo evento chiave: Intorno ai 10 milioni di anni fa, il clima diventò più freddo e secco: le foreste si ridussero, le praterie si espansero, e molti erbivori forestali vennero sostituiti da brucatori più adatti a mangiare erba dura; iniziò così una lenta erosione della diversità funzionale: gli ecosistemi continuarono a funzionare, ma con meno varietà nei ruoli ecologici.
Cambiano i giocatori, ma non la squadra
La scoperta più affascinante? Anche con meno specie, la struttura degli ecosistemi è rimasta intatta. È un po’ come una squadra di calcio che cambia giocatori ma mantiene la stessa formazione tattica.
“Le specie si sono alternate, ma i ruoli ecologici venivano sempre ricoperti”, spiega Ignacio Lazagabaster, coautore dello studio. “Così l’intero sistema ha continuato a funzionare.”

Questa resilienza ha tenuto duro per 4,5 milioni di anni, superando perfino le ere glaciali e altri cataclismi ambientali: ma oggi le cose stanno cambiando.
Terzo punto di non ritorno?
Oggi, la perdita di biodiversità causata dall’uomo – tra deforestazione, cambiamenti climatici e inquinamento – sta mettendo in discussione quell’equilibrio millenario.
“La natura sa adattarsi, ma questa volta il cambiamento è troppo rapido,” avverte Juan Cantalapiedra, autore senior dello studio. “Se continuiamo così, potremmo raggiungere un terzo punto critico globale e stavolta, potremmo non essere pronti a reggerlo.”
Perché è una cosa preoccupante?
In parole semplici: meno specie significa meno funzioni ecologiche: meno impollinatori, meno brucatori, meno regolatori naturali del territorio. E quando la natura perde i suoi “ingranaggi”, tutto il sistema può iniziare a traballare.
Oggi, siamo noi la variabile impazzita, ma, proprio come gli ecosistemi del passato, anche la nostra civiltà ha bisogno di stabilità e resilienza.