La missione XRISM (X-Ray Imaging and Spectroscopy Mission) ha rivelato una scoperta che sta facendo discutere gli astrofisici di tutto il mondo: i venti che si sprigionano da un disco attorno a una stella di neutroni si comportano in modo molto diverso da quelli osservati vicino ai buchi neri supermassicci.

Il flusso emesso da questa stella, chiamata GX13+1, è infatti straordinariamente denso, tanto da mettere in crisi le attuali teorie su come questi venti nascano e su come interagiscano con l’ambiente circostante.
Un esperimento unico nel suo genere
Il 25 febbraio 2024, XRISM ha puntato i suoi strumenti su GX13+1, il residuo di una stella un tempo gigantesca e oggi, questa stella di neutroni emette una forte radiazione X, generata dal materiale surriscaldato che cade a spirale verso la superficie, formando un disco di accrescimento.
Tali flussi di materia possono anche produrre potenti venti in uscita, capaci di alterare lo spazio attorno a loro e per capire meglio come si formano, il team di ricerca ha scelto proprio GX13+1 come bersaglio.
Grazie al suo strumento Resolve, in grado di misurare con estrema precisione l’energia dei singoli fotoni X, XRISM ha catturato dettagli mai osservati prima.
“Quando abbiamo visto la ricchezza dei dati, abbiamo capito di trovarci davanti a un risultato che cambia le regole del gioco,” ha spiegato Matteo Guainazzi, scienziato del progetto per l’ESA.
“Per molti di noi è stata la realizzazione di un sogno che inseguivamo da decenni.”
I venti cosmici che modellano l’universo
I venti generati da stelle di neutroni e buchi neri non sono semplici curiosità: rappresentano uno dei motori principali dell’evoluzione cosmica.
Fenomeni simili si verificano anche nelle galassie, dove i buchi neri supermassicci possono emettere venti in grado di comprimere le nubi di gas e favorire la nascita di nuove stelle, oppure, al contrario, di riscaldarle e disperderle, bloccando la formazione stellare.

Gli astronomi chiamano questo delicato equilibrio “feedback”, e nei casi più estremi è proprio questo meccanismo a regolare la crescita di un’intera galassia.
Studiare sistemi più “vicini” come GX13+1 aiuta quindi a capire in modo più dettagliato ciò che avviene attorno ai buchi neri al centro delle galassie.
Un’esplosione imprevista fino al limite di Eddington
Poco prima dell’osservazione, GX13+1 ha avuto un’improvvisa impennata di luminosità, raggiungendo (e forse superando) il limite di Eddington, ovvero la soglia in cui la pressione della radiazione è talmente alta da respingere la materia in caduta.
In quella fase, la radiazione può letteralmente soffiare via il materiale come un vento potentissimo.
E XRISM ha avuto la fortuna di trovarsi lì proprio in quel momento.
“Non avremmo potuto pianificarlo meglio”, racconta Chris Done dell’Università di Durham (Regno Unito), a capo dello studio. “Il sistema è passato da metà della sua emissione massima a un livello molto più intenso, producendo un vento più spesso di qualunque altro mai osservato.”
Un vento lento e insolitamente denso
Nonostante l’esplosione energetica, la velocità del vento è rimasta intorno a 1 milione di chilometri all’ora: una cifra che, su scala cosmica, è piuttosto bassa; per confronto, i venti attorno a buchi neri supermassicci possono raggiungere il 20–30% della velocità della luce, ossia oltre 200 milioni di km/h.
“Mi stupisce ancora quanto sia lento questo vento, ma anche quanto sia denso”, commenta Done.
“È come guardare il Sole attraverso una fitta nebbia che si avvicina: più è densa, più la luce si affievolisce.”
Stelle di neutroni contro buchi neri: due venti, due mondi
Le osservazioni di XRISM su un buco nero supermassiccio avevano mostrato venti ultrarapidi e irregolari, con zone dense alternate a regioni vuote; GX13+1, invece, mostra un flusso omogeneo e lento.
“I due venti sono completamente diversi, anche se i sistemi hanno parametri simili rispetto al limite di Eddington”, spiega Done. “Se davvero questi venti sono spinti solo dalla pressione della radiazione, perché si comportano in modo tanto diverso?”
Il ruolo della temperatura del disco di accrescimento
La risposta, secondo gli studiosi, potrebbe risiedere nella temperatura del disco di accrescimento.
In modo controintuitivo, i dischi che orbitano attorno ai buchi neri supermassicci risultano più freddi di quelli che circondano le stelle di neutroni o i buchi neri di massa stellare.
Quelli dei buchi neri giganti sono enormi e molto luminosi, ma la loro energia è distribuita su un’area immensa: per questo la loro radiazione raggiunge il picco nell’ultravioletto e nei sistemi più piccoli, invece, la radiazione è concentrata nei raggi X.
La luce ultravioletta, essendo più “interattiva” con la materia, riesce a spingerla meglio, producendo così i venti ultrarapidi tipici dei buchi neri supermassicci.
Impatti sull’evoluzione delle galassie
Se questa teoria sarà confermata, gli scienziati potranno rivedere i modelli di scambio di energia e materia nei sistemi più estremi dell’universo e capire come i venti cosmici interagiscono con il gas circostante potrebbe chiarire come le galassie crescono, si evolvono e, in alcuni casi, si spengono.
“La risoluzione senza precedenti di XRISM ci permette di studiare questi oggetti con un dettaglio mai raggiunto prima”, spiega Camille Diez, ricercatrice dell’ESA. “È il passo che ci prepara alla prossima generazione di telescopi a raggi X, come NewAthena.”
Cos’è XRISM
Lanciata il 7 settembre 2023, XRISM (si pronuncia krizz-em) è una missione congiunta JAXA–NASA–ESA pensata per esplorare l’universo nei raggi X.

A bordo ci sono due strumenti principali:
- Resolve – un calorimetro a raggi X capace di misurare l’energia dei singoli fotoni, offrendo una risoluzione energetica mai vista prima;
- Xtend – una fotocamera CCD a largo campo che cattura immagini ad ampio raggio della regione osservata.
Conclusione
In sintesi: XRISM ci sta permettendo di guardare i venti cosmici con una precisione mai raggiunta, e ciò che stiamo scoprendo è che non tutti i venti sono uguali — anche nell’universo, la fisica sa ancora sorprenderci.