Nel XIX secolo, l’Europa fu teatro di un macabro spettacolo, i Freak Show, che esibivano esseri umani con caratteristiche fisiche “anomale” come fenomeni da baraccone. Tra le vittime di questa pratica disumana, spicca la figura di Saartjie Baartman, una giovane donna sudafricana conosciuta come la “Venere Ottentotta”.

Saartjie Baartman: la “Venere Ottentotta” e l’orrore dei Freak Show
Saartjie Baartman nacque nel 1789 a Gamtoos, nell’odierno Sudafrica. Il suo nome, che significa “piccola Sara”, rifletteva la sua bassa statura, appena 1,35 metri. Dopo la morte dei genitori in un raid, fu affidata a una famiglia di Città del Capo, presso cui lavorò come schiava.
La sua vita cambiò drasticamente quando il fratello del suo padrone le propose di portarla in Inghilterra come fenomeno da baraccone, promettendole benessere economico. Saartjie, ignara dell’inganno, accettò l’offerta. In realtà, la sua particolarità fisica, caratterizzata da enormi natiche (steatopigia) e labbra vaginali sporgenti (macroninfia), la rendeva un’attrazione per il pubblico europeo, desideroso di assistere a spettacoli “esotici”.
Queste condizioni, sebbene considerate “anomale” dagli europei del XIX secolo, erano in realtà variazioni fisiche presenti in alcune popolazioni africane, tra cui quella Khoisan, a cui Saartjie apparteneva. La steatopigia, in particolare, era una caratteristica comune tra le donne Khoisan, e non era considerata una malformazione o una deformità. La macroninfia, sebbene meno comune, era anch’essa presente in alcune donne africane, e non era considerata un’anomalia nella loro cultura.

In Europa, queste caratteristiche fisiche furono interpretate come segni di “primitivismo” e “animalità”, e furono sfruttate per alimentare il voyeurismo e il razzismo dell’epoca. Saartjie Baartman fu esposta come un “fenomeno da baraccone”, costretta a esibirsi in spettacoli umilianti, dove la sua umanità fu negata e la sua dignità calpestata.
Una volta giunta nel cuore dell’Europa, Saartjie fu catapultata in un mondo di sfruttamento e umiliazione, divenendo un’attrazione esotica nei cosiddetti “Freak Show”. Lungi dall’essere trattata come un essere umano, fu ridotta a una mera curiosità da esibire, un animale da circo. La sua vita si trasformò in un calvario di spettacoli degradanti, dove veniva obbligata a camminare a quattro zampe in una gabbia, come una bestia selvaggia, esposta agli sguardi morbosi e al dileggio del pubblico pagante.
La sua dignità fu sistematicamente calpestata, la sua umanità negata. Fu privata di ogni diritto e rispetto, ridotta a un oggetto da osservare e deridere. Le sue caratteristiche fisiche, che in Africa sarebbero state considerate normali, furono trasformate in segni di “primitivismo” e “animalità”, alimentando i pregiudizi razziali dell’epoca. Saartjie divenne un simbolo dello sfruttamento coloniale, un’icona dell’orrore dei Freak Show, dove esseri umani venivano trattati come fenomeni da baraccone, privati della loro identità e dignità.
Un’odissea di sfruttamento e razzismo
La storia di Saartjie Baartman, la “Venere Ottentotta”, è un racconto tragico di sfruttamento e razzismo che si snoda attraverso l’Europa del XIX secolo. Dopo le umilianti esibizioni nei Freak Show inglesi, la sua vita prese una piega ancora più oscura. L’abolizione della schiavitù in Inghilterra, pur rappresentando un passo avanti nella lotta per i diritti umani, non segnò la fine delle sue sofferenze.
Diverse associazioni umanitarie, mosse da un senso di giustizia e indignate per le condizioni in cui la donna era costretta a vivere, si mobilitarono per chiedere la sua liberazione. In un tentativo di far luce sulla sua situazione, Saartjie fu convocata davanti a una corte e interrogata in lingua olandese, una lingua che, con sorpresa dei presenti, padroneggiava perfettamente. Questa circostanza rivelò non solo la sua intelligenza, ma anche la sua capacità di intendere e di volere, smentendo le tesi che la ritraevano come una creatura primitiva e priva di raziocinio.
Durante l’interrogatorio, Saartjie dichiarò di non essere ridotta in schiavitù e di ricevere una quota, pari alla metà, dei profitti derivanti dalle sue esibizioni. Tuttavia, l’autenticità di questa dichiarazione rimane avvolta nel dubbio. È plausibile che Saartjie, consapevole della sua vulnerabilità e timorosa di ritorsioni, abbia preferito assecondare i suoi sfruttatori piuttosto che rivelare la verità. La possibilità che la sua dichiarazione fosse frutto di coercizione o manipolazione non può essere esclusa.

L’incertezza che circonda le sue parole getta un’ombra oscura sulla sua vicenda, rendendo difficile stabilire con certezza se Saartjie avesse acconsentito liberamente alle esibizioni o se fosse stata costretta a subirle. Indipendentemente dalla sua volontà, è innegabile che la donna fu vittima di uno sfruttamento abominevole, ridotta a un oggetto da esibire e umiliare.
Indipendentemente dalla veridicità delle sue dichiarazioni, la sorte di Saartjie Baartman subì un drastico peggioramento quando fu venduta a un uomo francese, che la trasferì a Parigi. Nella capitale francese, la donna fu sottoposta a un’ulteriore forma di degradazione, venendo esposta per quindici mesi come un’attrazione esotica, un animale da circo. Le condizioni in cui fu costretta a vivere erano disumane, segnate da umiliazioni e abusi continui. Numerosi illustratori, spinti dalla morbosa curiosità del pubblico, ritrassero le sue fattezze, contribuendo a diffondere un’immagine distorta e degradante della donna.
Quando la moda dei “Freak Show” iniziò a declinare, Saartjie fu abbandonata a se stessa, senza risorse e senza protezione. La sua vita precipitò in un vortice di disperazione, costringendola a prostituirsi e a cercare conforto nell’alcol per sopravvivere. La sua condizione di vulnerabilità, accentuata dall’isolamento e dalla mancanza di supporto, la rese preda facile di sfruttamento e abusi.

La morte di Saartjie Baartman, avvenuta il 29 dicembre 1815 all’età di soli 25 anni, non pose fine alle umiliazioni e allo sfruttamento che aveva subito in vita. La giovane donna, probabilmente deceduta a causa di una malattia infettiva come sifilide, vaiolo o polmonite, fu sottoposta a un’ulteriore forma di oltraggio che perpetuò la sua degradazione anche dopo la morte. Il suo corpo, anziché ricevere una degna sepoltura, fu trattato come un reperto scientifico, oggetto di studio e curiosità.
Il suo scheletro, i suoi genitali e il suo cervello furono conservati e esposti al Musée de l’Homme di Parigi, un museo di antropologia che all’epoca era considerato un’istituzione scientifica di prestigio. Questa esposizione, che durò fino al 1974, rappresentò un’ulteriore violazione della dignità di Saartjie Baartman, trasformandola in un oggetto da museo, un simbolo di “primitivismo” e “animalità” agli occhi del pubblico europeo.
L’esposizione dei resti di Saartjie Baartman al Musée de l’Homme perpetuò gli stereotipi razzisti e sessisti che avevano segnato la sua vita. La sua figura fu utilizzata per giustificare le teorie razziste dell’epoca, che consideravano le popolazioni africane come inferiori e “meno evolute” rispetto agli europei. La sua storia divenne un simbolo dello sfruttamento coloniale e della violenza razziale che ha segnato la storia europea.

Solo nel 2002, dopo una lunga battaglia legale condotta dal governo sudafricano, i resti di Saartjie Baartman furono restituiti al Sudafrica, dove ricevettero una degna sepoltura. Questo atto di giustizia riparatoria rappresentò un importante passo avanti nella lotta contro il razzismo e il riconoscimento della dignità umana di Saartjie Baartman.
La richiesta di Nelson Mandela: un simbolo di riconciliazione
Nel 1994, il Presidente sudafricano Nelson Mandela, simbolo della lotta contro l’apartheid e della riconciliazione nazionale, chiese ufficialmente alla Francia la restituzione dei resti di Saartjie Baartman. La sua richiesta, mossa da un profondo senso di giustizia e rispetto per la memoria della donna, rappresentò un atto di denuncia contro lo sfruttamento coloniale e il razzismo che avevano segnato la sua vita.
La richiesta di Mandela diede il via a un’intensa battaglia legale, che vide il governo sudafricano impegnato a rivendicare il diritto alla sepoltura di Saartjie Baartman nella sua terra d’origine. Dopo anni di controversie e negoziati, la Francia acconsentì alla restituzione dei resti.
La richiesta di Mandela diede il via a un’intensa battaglia legale, che vide il governo sudafricano impegnato a rivendicare il diritto alla sepoltura di Saartjie nella sua terra d’origine. Dopo anni di controversie e negoziati, la Francia acconsentì alla restituzione dei resti.

La vicenda di Saartjie Baartman trascende la narrazione di una mera vittima dello sfruttamento coloniale, elevandosi a simbolo di dignità e resistenza. La sua figura, pur segnata da un’esistenza di sofferenza e umiliazione, incarna la resilienza di un popolo e la lotta contro il razzismo sistemico.
La sua storia, infatti, non si limita a denunciare l’orrore dei “Freak Show” e lo sfruttamento del corpo femminile, ma diviene un potente monito contro la disumanizzazione e la negazione dell’identità. Saartjie, attraverso la sua stessa esistenza, ci ricorda la necessità di riconoscere l’umanità di ogni individuo, indipendentemente dalle differenze fisiche o culturali.
La restituzione dei suoi resti al Sudafrica e la sua sepoltura a Gamtoos, la sua terra natale, rappresentano un atto di riappropriazione della sua identità e della sua storia. Questo gesto simbolico, compiuto a quasi due secoli dalla sua morte, riconosce la sua umanità negata e rende omaggio alla sua memoria, trasformandola in un simbolo di resistenza e di riscatto per le generazioni future.

La sua storia, quindi, non è solo un capitolo oscuro del passato, ma un’eredità che ci invita a riflettere sulle conseguenze del razzismo e dell’oppressione coloniale. Ci spinge a combattere ogni forma di discriminazione e a costruire una società in cui la dignità umana sia riconosciuta e rispettata.