Una recente e significativa ricerca condotta da scienziati della Johns Hopkins Medicine ha identificato un sottogruppo specifico di pazienti affetti da lupus eritematoso sistemico (LES) che presentano un rischio significativamente maggiore di sviluppare eventi trombotici gravi, quali la formazione di coaguli di sangue, l’ictus cerebrale o l’infarto miocardico. Questa importante scoperta offre ai medici uno strumento potenzialmente prezioso per stratificare il rischio all’interno della popolazione di pazienti e per identificare coloro che potrebbero beneficiare di un trattamento precoce e di un monitoraggio clinico intensificato al fine di prevenire tali complicanze potenzialmente letali.

Nuove correlazioni nel lupus: anticorpi specifici come marcatori di rischio trombotico
In condizioni fisiologiche, gli anticorpi rappresentano un elemento cruciale del sistema immunitario, svolgendo un ruolo protettivo nell’organismo attraverso la neutralizzazione di agenti patogeni come batteri e virus e nella distruzione di cellule tumorali. Tuttavia, nelle malattie autoimmuni come il lupus, si verifica una disregolazione del sistema immunitario che porta alla produzione di autoanticorpi, ovvero anticorpi che erroneamente riconoscono e attaccano componenti sani dell’organismo, inclusi tessuti e molecole essenziali.
Nell’ambito di questo studio, i ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione sugli anticorpi diretti contro il fattore di trascrizione A, mitocondriale, denominati anticorpi anti-TFAM. La proteina TFAM rappresenta un elemento vitale per la salute e l’integrità genetica dei mitocondri, le organelle cellulari responsabili della produzione di energia. Precedenti ricerche avevano già suggerito un coinvolgimento di danni a questa proteina e alla disfunzione mitocondriale nello sviluppo e nella patogenesi del lupus. Il presente studio ha approfondito ulteriormente questa ipotesi, giungendo a conclusioni di notevole importanza clinica.

Il lavoro dei ricercatori della Johns Hopkins non solo stabilisce in modo definitivo che la proteina mitocondriale TFAM può effettivamente agire come un fattore scatenante per l’attivazione anomala del sistema immunitario nel contesto del lupus, ma rivela anche una correlazione statisticamente significativa e clinicamente rilevante tra la presenza di anticorpi anti-TFAM e la comparsa di eventi trombotici nei pazienti affetti da questa patologia autoimmune.
Come ha sottolineato il primo autore dello studio, il Dott. Eduardo Gómez-Bañuelos, “I risultati di questo lavoro sono davvero sorprendenti ed entusiasmanti… Inizialmente stavamo esaminando il coinvolgimento di questi anticorpi nella nefrite lupica. Invece, con la nostra analisi abbiamo osservato una diversa manifestazione clinica: una forte associazione tra anticorpi anti-TFAM ed eventi trombotici nei pazienti affetti da lupus, che possono essere molto gravi.” Questa inattesa ma cruciale scoperta apre nuove prospettive per la sua gestione clinica, suggerendo l’importanza di valutare la presenza di anticorpi anti-TFAM come potenziale marcatore di rischio trombotico.
Correlazione statistica tra anticorpi anti-TFAM ed eventi trombotici
Il team di ricerca ha inizialmente condotto un’analisi comparativa su campioni di sangue prelevati da un gruppo di controllo composto da 98 individui sani e da un’ampia coorte di 158 pazienti affetti da lupus eritematoso sistemico (LES), reclutati nell’ambito del Lupus Hopkins Cohort, uno studio longitudinale diretto dalla Dott.ssa Michelle Petri, esperta nel campo. L’analisi sierologica ha rivelato che una frazione significativa dei partecipanti affetti da lupus, precisamente circa un terzo del campione, risultava positiva alla presenza degli anticorpi anti-TFAM (anti-fattore di trascrizione A, mitocondriale).

Successivamente, i ricercatori hanno intrapreso un’analisi statistica approfondita focalizzata sui pazienti risultati positivi agli anticorpi anti-TFAM. Questa analisi ha messo in relazione la presenza di tali autoanticorpi con una vasta gamma di caratteristiche cliniche, parametri di laboratorio e biomarcatori molecolari tipicamente associati alla malattia.
Un risultato di particolare rilevanza emerso da questa analisi è stata la scoperta che i soggetti che presentavano gli anticorpi anti-TFAM mostravano una probabilità significativamente aumentata, compresa tra 2,8 e 3,3 volte maggiore, di sviluppare un evento trombotico clinicamente rilevante. È cruciale sottolineare che questa associazione è rimasta statisticamente significativa anche dopo aver accuratamente considerato e aggiustato i dati per la presenza di altre condizioni e biomarcatori noti per contribuire alla formazione di coaguli di sangue, come l’abitudine al fumo e la presenza di altri autoanticorpi precedentemente implicati nella trombosi, in particolare gli anticorpi anti-fosfolipidi.
Il Dott. Felipe Andrade, autore corrispondente dello studio, ha evidenziato la natura inaspettata ma fondamentale della scoperta: “Quando abbiamo scoperto gli anticorpi anti-TFAM, non avevamo idea di quanto fossero cruciali. L’accesso ai campioni della Lupus Hopkins Cohort, così come il supporto di una borsa di ricerca esplorativa/di sviluppo, sono stati fondamentali per definire l’importanza degli anticorpi anti-TFAM”.

Il professore ha poi aggiunto una considerazione chiave sull’impatto di questa ricerca sulla comprensione della patogenesi del lupus: “Il nostro studio aggiunge una nuova idea alla patogenesi della trombosi nel lupus: che gli anticorpi anti-TFAM sono associati a eventi trombotici indipendentemente da altri fattori e altri autoanticorpi”. Questa osservazione suggerisce che gli anticorpi anti-TFAM potrebbero rappresentare un meccanismo patogenetico indipendente e significativo nello sviluppo di complicanze trombotiche nei pazienti affetti da lupus, aprendo nuove prospettive per la stratificazione del rischio e per lo sviluppo di strategie terapeutiche mirate.
Implicazioni cliniche e prospettive future
Il Dott. Gómez-Bañuelos e il Dott. Andrade sottolineano congiuntamente come la loro ricerca fornisca solide evidenze a sostegno del potenziale utilizzo degli anticorpi anti-TFAM come biomarcatori clinicamente rilevanti nei pazienti affetti da LES.
L’identificazione di questi autoanticorpi potrebbe rappresentare uno strumento diagnostico prezioso per stratificare il rischio individuale di sviluppare eventi trombotici gravi, quali la formazione di coaguli di sangue, l’ictus cerebrale, l’infarto miocardico o altre manifestazioni trombotiche associate al lupus, inclusa la sindrome da antifosfolipidi. La possibilità di identificare precocemente i pazienti a elevato rischio consentirebbe l’implementazione di strategie preventive e terapeutiche più mirate e tempestive, potenzialmente migliorando significativamente l’outcome clinico di questi pazienti.

Il team di ricerca ha delineato i propri piani futuri, focalizzati in modo specifico sull’approfondimento della comprensione del ruolo degli anticorpi anti-TFAM nello sviluppo degli eventi trombotici nei pazienti. Un obiettivo primario delle loro indagini future è quello di discernere se questi autoanticorpi contribuiscano attivamente alla patogenesi della formazione di coaguli di sangue nel contesto della malattia, attraverso meccanismi diretti o indiretti, o se il loro ruolo sia prevalentemente quello di un marcatore biologico che segnala un aumentato rischio di tali eventi, senza necessariamente esserne una causa diretta. La distinzione tra un ruolo patogenetico attivo e un ruolo di semplice biomarcatore è cruciale per lo sviluppo di terapie mirate.
Il Dott. Andrade ha espresso il proprio entusiasmo per le prospettive future della ricerca, affermando: “Si tratta di un argomento nuovo ed entusiasmante per il nostro laboratorio e per altri interessati a questo aspetto del lupus, grazie in gran parte ai finanziamenti federali che sono stati fondamentali per questo studio. Abbiamo intenzione di scoprire quale sia il ruolo dell’anti-TFAM nel lupus e nei mitocondri, forse anche in altre condizioni associate alla trombosi”.

Questa dichiarazione evidenzia l’intenzione del team di ampliare l’ambito della propria ricerca, esplorando il coinvolgimento degli anticorpi anti-TFAM non solo nella patogenesi del lupus e nella disfunzione mitocondriale associata, ma anche in altre condizioni mediche caratterizzate da un aumentato rischio trombotico. Questa prospettiva più ampia potrebbe rivelare meccanismi patogenetici comuni e aprire nuove strade per la comprensione e il trattamento di diverse malattie caratterizzate da trombosi.
Lo studio è stato pubblicato sull’Annals of the Rheumatic Diseases.