Se si pensa ad un’impronta digitale è naturale pensare che ci di riferisca a quelle che caratterizzano i nostri polpastrelli e che ci rendono unici, ma secondo una ricerca di Enrico Amico, scienziato presso il Laboratorio di elaborazione delle immagini mediche dell’EPFL e il Centro di neuroprotesi dell’EPFL, che parla della sua ricerca sul cervello umano in generale, anche il nostro cervello possiede un’impronta digitate, che muta nel tempo.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances.
Impronta digitale del cervello: ecco cosa dice la ricerca
“La mia ricerca esamina le reti e le connessioni all’interno del cervello, e in particolare i collegamenti tra le diverse aree, al fine di ottenere maggiori informazioni su come funzionano le cose”, afferma Amico. “Lo facciamo in gran parte utilizzando le scansioni MRI, che misurano l’attività cerebrale in un determinato periodo di tempo”.
Il suo gruppo di ricerca elabora le scansioni per generare grafici, rappresentati come matrici colorate, che riassumono l’attività cerebrale di un soggetto. Questo tipo di tecnica di modellazione è nota negli ambienti scientifici come neuroscienza di rete o connettomica cerebrale.
“Tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno sono in questi grafici, comunemente noti come “connettomi cerebrali funzionali” ha spiegato l’esperto: ” Il connettoma è una mappa della rete neurale. Rivela cosa stavano facendo i soggetti durante la loro risonanza magnetica, se stavano riposando o svolgendo altri compiti, per esempio. I nostri connettomi cambiano in base all’attività svolta e alle parti del cervello utilizzate”, ha continuato Amico.
Alcuni anni fa, i neuroscienziati dell’Università di Yale che studiano questi connettomi hanno scoperto che ognuno di noi ha un’impronta digitale unica del cervello. Confrontando i grafici generati dalle scansioni MRI degli stessi soggetti prese a pochi giorni di distanza, sono stati in grado di abbinare correttamente le due scansioni di un determinato soggetto quasi il 95% delle volte. In altre parole, potrebbero identificare con precisione un individuo in base all’impronta digitale del cervello: “È davvero impressionante perché l’identificazione è stata effettuata utilizzando solo connettomi funzionali, che sono essenzialmente insiemi di punteggi di correlazione“, ha specificato Amico.
Lo scienziato ha deciso di fare un ulteriore passo avanti con questa scoperta. In studi precedenti, le impronte digitali del cervello sono state identificate utilizzando scansioni MRI che sono durate diversi minuti, ma si chiedeva se queste impronte potessero essere identificate dopo pochi secondi, o se c’era un momento specifico nel tempo in cui apparivano e, in tal caso, quanto sarebbe durato quel momento?
“Fino ad ora, i neuroscienziati hanno identificato le impronte digitali del cervello utilizzando due scansioni MRI eseguite in un periodo abbastanza lungo. Ma le impronte digitali appaiono effettivamente dopo soli cinque secondi, ad esempio, o hanno bisogno di più tempo? E se le impronte digitali di diverse aree del cervello apparissero a momenti diversi nel tempo? Nessuno conosceva la risposta. Quindi abbiamo testato diverse scale temporali per vedere cosa sarebbe successo”, si è chiesto lo studioso.
Il suo gruppo di ricerca ha scoperto che sette secondi non erano abbastanza lunghi per rilevare dati utili, ma che circa 1 minuto e 40 secondi lo erano: “Ci siamo resi conto che le informazioni necessarie per l’elaborazione di un’impronta digitale cerebrale potevano essere ottenute in periodi di tempo molto brevi“, ha spiegato Amico.
“Non è necessaria una risonanza magnetica che misuri l’attività cerebrale per cinque minuti, ad esempio. Potrebbero funzionare anche scale temporali più brevi”. Il suo studio ha anche mostrato che le impronte digitali cerebrali più veloci iniziano ad apparire dalle aree sensoriali del cervello, e in particolare le aree relative al movimento degli occhi, alla percezione visiva e all’attenzione visiva. Con il passare del tempo, anche le regioni della corteccia frontale, quelle associate a funzioni cognitive più complesse, iniziano a rivelare a ciascuno di noi informazioni uniche.
Il prossimo passo sarà confrontare le impronte digitali cerebrali di pazienti sani con quelli affetti dal morbo di Alzheimer. “Sulla base delle mie scoperte iniziali, sembra che le caratteristiche che rendono unica un’impronta digitale cerebrale scompaiano costantemente con il progredire della malattia”, afferma Amico. “Diventa più difficile identificare le persone in base ai loro connettimi. È come se una persona con Alzheimer perdesse la sua identità cerebrale”.
Lungo questa linea, potenziali applicazioni potrebbero includere il rilevamento precoce di condizioni neurologiche in cui le impronte digitali del cervello scompaiono. La tecnica di Amico può essere utilizzata in pazienti affetti da autismo, o ictus, o anche in soggetti con tossicodipendenze. “Questo è solo un altro piccolo passo verso la comprensione di ciò che rende unico il nostro cervello: le opportunità che questa intuizione potrebbe creare sono illimitate”.