Facebook ha iniziato a mostrare annunci nei suoi visori per realtà virtuale Oculus, nonostante il fondatore della piattaforma, Palmer Luckey, abbia affermato nel 2017 che non lo avrebbe mai fatto, eppure eccoci qua.
Come sempre il business pubblicitario ci ha sempre fatto capire che l’etica, diciamo non è il suo forte. Il revisionismo storico assume forme più disparate, specie nel breve termine, e tutto diventa “interpretabile” dopo un certo lasso di tempo. Così Luckey davanti a piccole preoccupazioni riguardo il possibile uso di pubblicità sulla piattaforma, si esprimeva nel non lontano 2017:
“Non ti seguiremo, non ti mostreremo pubblicità o faremo nulla di invasivo“. Ma poi sul blog di Oculus, l’azienda affermava poco dopo: “Stiamo esplorando nuovi modi per consentire agli sviluppatori di generare entrate: questa è una parte fondamentale per garantire la creazione di una piattaforma autosufficiente in grado di supportare una varietà di modelli di business che sbloccare nuovi tipi di contenuti e pubblico“.
Adesso addirittura Facebook sta coprendo la cosa, interpretando questa messinscena come un “ESPERIMENTO“, e che gli annunci inizieranno ad apparire in un gioco chiamato Balston, peccato però che subito dopo altri sviluppatori hanno cominciato a fare annunci simili.
Facebook metterà dei limiti alle pubblicità su Oculus?
Il punto è che siamo abbastanza cresciutelli per capire che la situazione sfuggirà velocemente di mano, con la solita scusa dei costi, che potrebbe facilmente essere risolta con l’aumento del costo dei servizi, a patto di non subire bombardamenti di pubblicità. Il problema è che tutti cercano l’affare a basso costo, e ai produttori e sviluppatori fa gola bombardare il mercato con prodotti sottocosto.
Il prodotto sottocosto permette di poi far rivalere la concessione delle pubblicità per rifarsi non solo dei costi di produzione, ma anche di ulteriori, e a volte ben più alti, introiti provenienti da terzi. Il consumatore tendenzialmente accetta questo compromesso pur di spendere meno per servizi e hardware.
Facebook a riguardo ha affermato che gli utenti saranno in grado di nascondere annunci specifici o quelli di un determinato inserzionista e ha promesso che la sua politica sulla privacy rimarrà la stessa. “Facebook otterrà nuove informazioni, ad esempio se hai interagito con un annuncio e, in tal caso, come[..] ad esempio, se hai fatto clic sull’annuncio per ulteriori informazioni o se l’hai nascosto“. Incoraggia perfino i clienti a condividere il proprio feedback tramite la pagina di supporto di Oculus.
A questo punto è evidente che la scusa della regolamentazione della privacy non regge più, visto che non è più necessario sapere il nome dell’utente, dato che l’intera esperienza, anche se anonima, verrà computata e perfezionata sul tuo utilizzo personale.
Leo Gebbie, analista di CCS Insight, ha affermato che la mossa non è sorprendente: “In definitiva Facebook si basa sulle entrate pubblicitarie e se c’era qualche aspettativa che non lo trasformasse nella realtà virtuale, allora sarebbe un po’ ingenuo“. I visori Oculus Quest 2 partono da €349 e negli Stati Uniti sono offerti anche per $299, e quel prezzo significa che vengono venduti a “margini incredibilmente bassi o addirittura in perdita”.
Ciò potrebbe significare che Facebook diventi il giocatore dominante in questa partita, poiché altri non sono e non saranno mai in grado di competere. “L’obiettivo a lungo termine è che Oculus diventi una piattaforma per la realtà virtuale e la realtà aumentata, con Facebook desideroso di consentire a quante più persone possibile di utilizzarlo. Facebook non ha i migliori risultati sulla privacy e c’è la preoccupazione che continuerà a spingere i confini e a insinuarsi verso qualcosa di invasivo“, afferma Gebbie.
Piers Harding-Rolls, direttore della ricerca sui giochi di Ampere Analysis, ha affermato che la realtà virtuale ha offerto grandi opportunità per le aziende tecnologiche. “Se le persone trascorrono più tempo utilizzando questa tecnologia, coloro che dominano l’opportunità di pubblicità online, inclusi Facebook e Google, vogliono essere in una buona posizione per sfruttare qualsiasi cambiamento nelle abitudini dei consumatori, in modo che possano seguire il pubblico con la loro pubblicità. reti”.
Ma dovevano stare attenti a bilanciare la pubblicità con una buona esperienza utente, ha avvertito. “Anche se non c’è nulla di eccezionale nell’avere pubblicità nei giochi, la natura intima e immersiva della realtà virtuale significa che è probabile che l’esperienza del consumatore sembri molto diversa e ciò potrebbe rappresentare una barriera all’adozione”.
Questo potrebbe senz’altro avere un fondamento, magari per gli utenti adulti e forse un po’ più responsabili, ma per gli adolescenti questa analisi potrebbe sempre rivelarsi corretta? Sostengo da sempre che l’informazione riguardo tecnologie di intrattenimento, non sia mai stata così nebbiosa. Visto che è facile gridare all’innovazione senza calcolarne le conseguenze a lungo termine.
Un esempio più che eclatante è stato ed è il gioco d’azzardo con le microtransazioni nei giochi free-to-play, per il quale nessuna autorità nel nostro paese ha ancora messo un veto, e da sempre la giustificazione degli sviluppatori è sempre stata la stessa che usano ora per i visori: “Ci sono delle spese e qualcuno dovrà pur pagarle“; chissà perché però queste spese non si colmano mai, neanche dopo aver recuperato le perdite.