Uno studio della Emory University pubblicato su Molecular Psychiatry mostra che la levodopa, un farmaco che aumenta la dopamina nel cervello, ha il potenziale per invertire gli effetti dell’infiammazione sui circuiti di ricompensa del cervello, migliorando infine i sintomi della depressione.
Ecco come agisce il levodopa nel trattamento della depressione
Numerosi laboratori in tutto il mondo hanno dimostrato che l’infiammazione provoca una riduzione della motivazione e dell’anedonia, un sintomo fondamentale della depressione, influenzando i percorsi di ricompensa del cervello.
Ricerche passate condotte dal Dipartimento di Psichiatria e Scienze comportamentali della Emory University School of Medicine hanno collegato gli effetti dell’infiammazione sul cervello al ridotto rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore chimico che regola la motivazione e l’attività motoria, nello striato ventrale.
Nello studio, i ricercatori hanno dimostrato che la levodopa ha invertito gli effetti dell’infiammazione sulla connettività funzionale del cervello nei circuiti di ricompensa e l’anedonia (incapacità di provare piacere) in individui depressi con una proteina C-reattiva (CRP) più alta, un biomarcatore del sangue prodotto e rilasciato dal fegato in risposta all’infiammazione.
I livelli di infiammazione possono essere facilmente misurati con semplici esami del sangue, come CRP, prontamente disponibili nelle cliniche e negli ospedali negli Stati Uniti.
Lo studio ha incluso 40 pazienti depressi con una gamma di livelli di CRP da alti a bassi che sono stati sottoposti a scansioni cerebrali funzionali in due visite dopo aver ricevuto in ordine casuale placebo o levodopa, un farmaco spesso prescritto per disturbi come il morbo di Parkinson.
La levodopa ha migliorato la connettività funzionale in un classico circuito di ricompensa da striato ventrale a corteccia prefrontale ventromediale, ma solo nei pazienti con livelli più elevati di PCR. Questo miglioramento nei circuiti di ricompensa negli individui depressi con CRP più elevato era anche correlato alla riduzione dei sintomi di anedonia dopo la levodopa.
“Questa ricerca dimostra il potenziale traslazionale per l’uso dei deficit correlati all’infiammazione nella connettività funzionale e potrebbe avere importanti implicazioni per le future indagini sulle terapie di precisione per i pazienti psichiatrici con elevata infiammazione”, afferma la ricercatrice principale e autrice senior Jennifer C. Felger, Ph. D., professore associato di psichiatria e scienze comportamentali , Emory School of Medicine.
Felger afferma che i risultati dello studio sono fondamentali per due motivi. In primo luogo, suggeriscono che i pazienti depressi con elevata infiammazione possono rispondere in modo specifico ai farmaci che aumentano la dopamina.
In secondo luogo, Felger afferma che questi risultati forniscono anche ulteriori prove del fatto che la connettività funzionale nei circuiti di ricompensa può fungere da biomarcatore cerebrale affidabile per gli effetti dell’infiammazione sul cervello.
“Inoltre, poiché l’effetto della levodopa era specifico per i pazienti depressi con maggiore infiammazione, questa connettività funzionale può essere utilizzata per valutare la reattività del cervello a nuovi trattamenti che potrebbero essere mirati a questo sottotipo di pazienti depressi in studi futuri e studi clinici , ” dice Felger.
In Italia almeno 1,5 milioni di persone sono colpite dalla depressione mentre il 10% della popolazione italiana, cioè circa 6 milioni di individui, hanno sofferto almeno una volta, nel corso della loro vita, di un episodio depressivo. Secondo le previsioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel futuro la depressione sarà la seconda causa di malattia, dopo le malattie cardiovascolari, in tutto il mondo, Italia compresa.
Secondo l’EpiCentro ISS: “In Italia, secondo le stime dello studio Esemed, ogni anno oltre un milione e mezzo di adulti soffre di un disturbo depressivo.
La depressione può insorgere a varie età e diversi strumenti possono essere utilizzati come indicatori della frequenza del problema tra i giovani, gli adulti e gli anziani. Per quanto riguarda gli adulti, il sistema di sorveglianza Passi rileva quanto riferito da persone tra i 18 e i 69 anni di età, ovviamente escludendo finalità diagnostiche e solo allo scopo di focalizzare l’attenzione di operatori sanitari sull’importanza di servizi rivolti a questo tipo di sofferenza nella popolazione considerata socialmente e lavorativamente “attiva”.
Nel sistema Passi sono rilevati i sintomi depressivi fondamentali (i sintomi di umore depresso e perdita di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività) utilizzando un test validato, il Patient Health Questionnaire-2 (Phq-2). Il Phq-2 è uno strumento di screening derivato dal Patient Health Questionnaire-9 con soddisfacente sensibilità e specificità. In ambito clinico il Phq-2 consente di individuare le persone con probabile disturbo depressivo da indirizzare ai servizi specialistici, solo in questo contesto e con strumenti diagnostici più accurati sarà possibile fare diagnosi di un disturbo depressivo.
In ambito di sorveglianza il Phq-2 consente di individuare le persone con probabile disturbo depressivo. Con i dati rilevati vengono effettuate misure di prevalenza e di caratterizzazione delle persone “probabilmente” depresse con, patologie croniche, stili di vita e altri fattori anche sociali rilevati nello stesso sistema”.
la dott.ssa Sonia Spotti, medico psichiatra presso l’Ospedale Maria Luigia, ha dichiarato: “La depressione è una malattia che colpisce l’umore. Umore che si fa triste e malinconico e che si accompagna ad una sensazione di inadeguatezza e inutilità. Sensazione che si mantiene anche quando vengono svolte attività piacevoli. Molto spesso oltre al vissuto di tristezza è presente una importante componente ansiosa, con la presenza di inquietudine e tensione, accompagnata dalla sensazione che tutto sia diventato incredibilmente difficile.
Ad aumentare il carico di sofferenza può manifestarsi quello che è definito il “sentimento della mancanza di sentimento”. Chi soffre di un disturbo depressivo può infatti avere la sensazione di non provare più amore e affetto nei confronti dei propri cari. A questi problemi si accompagnano inoltre disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, facile affaticabilità e una totale mancanza di progettualità e quindi un pessimismo costante. Tutto è nero! E’ il male oscuro…
Ci sono sicuramente delle categorie a rischio. Ad esempio persone che hanno familiari depressi hanno un maggior rischio di sviluppare anche loro il disturbo. Oppure persone che hanno subito perdite e lutti, separazioni o perdita del lavoro e conseguente difficoltà economiche.
Anche l’essere donna è un fattore di rischio per la depressione. Ricordiamo, ad esempio, il Maternity Blues, una condizione di scoraggiamento e depressione che avviene dopo il parto, legata ad un brusco calo di estrogeni e progesterone (da non confondere con la depressione post partum, ndr). Questo scoraggiamento momentaneo può essere visto anche in ottica psicodinamica, legato quindi all’ assunzione di un nuovo ruolo e di una nuova responsabilità che un nuovo figlio comporta.
Discorso simile può essere fatto anche per la fase periclimaterica dove emergono altri fattori. Ad esempio possiamo osservare la sindrome del “nido vuoto” che è questo stato di depressione e inutilità che una madre percepisce quando i figli si allontano da casa.
Non si può fare una terapia fai-da-te. Inoltre bisognerebbe sempre rivolgersi allo specialista. Anche il medico di base può essere d’aiuto, ma lo sguardo di uno psichiatra è più allenato a riconoscere alcune caratteristiche della depressione che sono misconosciute. I farmaci inoltre vanno utilizzati in maniera rigorosa e seguendo la prescrizione medica. I farmaci possono essere antidepressivi o ansiolitici.
La depressione invece è “sine materia”, non ha quindi un correlato somatico. Ha dei penosi vissuti che a volte vengono percepiti anche dai familiari come capricci o mancanza di volontà. Ma è normale che un paziente depresso non riesca a farcela da solo, altrimenti non starebbe male. Credo si debba togliere alla depressione il mantello della vergogna e dello stigma. La depressione può avere le più svariate cause ma è assolutamente curabile. E’ una malattia che deve essere curata.
È importante ricordare che lo scopo di questo articolo è puramente divulgativo e non intende sostituirsi al lavoro prezioso della comunità medica. Se pensi di soffrire di depressione parlane direttamente col tuo medico di famiglia che saprà indirizzarti verso uno specialista adatto alle tue esigenze.
Dalla depressione si può guarire e migliorare in maniera significativa la qualità della propria vita. Questo grazie alla psicoterapia e quando serve, ad un buon supporto farmacologico. Se stai affrontando un momento difficile non vergognartene, ma parlane con chi ti ama e ha a cuore il tuo benessere e la tua felicità. Insieme potete cercare un supporto specialistico e ritrovare il desiderio di stare bene.