L’acqua, simbolo di vita, purificazione e rinascita in molte culture e religioni, può talvolta trasformarsi in veicolo di malattia e morte, un esempio emblematico di questa tragica inversione di significato è rappresentato dallo scoppio di un’epidemia di colera in Etiopia, che ha avuto ripercussioni anche in Europa.

Nel febbraio 2025, le autorità sanitarie di Germania e Regno Unito hanno segnalato un focolaio di colera in Etiopia legato all’acqua santa proveniente dal pozzo sacro di Bermel Georgis, situato nella regione di Amhara, nel nord della nazione. Sette persone, tra cui tre residenti tedeschi e quattro britannici, sono state infettate da un ceppo multiresistente del batterio Vibrio cholerae dopo aver consumato o utilizzato l’acqua del pozzo.
In alcuni casi, l’acqua era stata trasportata in bottiglie di plastica e condivisa tra familiari e amici al ritorno dal pellegrinaggio.
Il pozzo di Bermel Georgis è una meta di pellegrinaggio molto frequentata, rinomata per le presunte proprietà curative delle sue acque, tuttavia nel contesto dell’epidemia di colera in Etiopia in corso, l’acqua del pozzo è risultata contaminata dal batterio, rappresentando un rischio significativo per la salute pubblica.
Dal 2022, la colera in Etiopia è un grvissimo problema, basti pensare che ad oggi, con oltre 58.000 casi e più di 700 decessi segnalati, sta attanagliando la popolazione. Le condizioni sanitarie precarie, l’accesso limitato all’acqua potabile e le infrastrutture igienico-sanitarie inadeguate hanno contribuito alla diffusione della malattia nella nazione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha risposto all’emergenza istituendo 17 centri di trattamento del colera in Etiopia, nello specifico in otto regioni del paese, tra cui Addis Abeba, Amhara e Oromia. Questi centri operano 24 ore su 24 e sono dotati di servizi essenziali per fornire cure efficaci ai pazienti.
L’epidemia di colera in Etiopia ha avuto ripercussioni anche in Europa, evidenziando come le malattie infettive possano facilmente oltrepassare i confini nazionali, e il caso del colera trasmesso attraverso l’acqua santa etiope sottolinea l’importanza di adottare misure preventive durante i viaggi, come evitare il consumo di acqua non trattata e seguire le linee guida sanitarie internazionali.
Le radici del colera in Etiopia: tra fragilità sanitaria e crisi ambientale
Mentre il colera è una malattia nota e teoricamente prevenibile con misure igienico-sanitarie di base, la sua persistente presenza in Etiopia, aggravata da una recrudescenza particolarmente aggressiva negli ultimi anni, è il segnale di una crisi ben più profonda. A partire dal 2022, la combinazione letale di instabilità politica, disastri ambientali e carenze infrastrutturali ha creato un terreno fertile per l’esplosione e la propagazione del Vibrio cholerae.
Una crisi sanitaria silenziosa ma estesa
Secondo i dati ufficiali raccolti da enti come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Ministero della Salute etiope, l’epidemia di colera in Etiopia ha colpito almeno otto regioni del paese, tra cui le più densamente popolate citate in precedenza, e come appunto detto, in totale, si contano oltre 58.000 casi confermati e più di 700 morti, con un tasso di letalità superiore al 1,2%, in netto contrasto con l’obiettivo di mantenere tale tasso sotto lo 0,5%, come indicato dagli standard OMS.
Ciò che emerge è una gestione sanitaria in stato di emergenza cronica, con ospedali sovraffollati, mancanza di farmaci base e scarsità di personale medico formato per affrontare crisi infettive su vasta scala.
Le zone rurali, in particolare, sono pressoché abbandonate a sé stesse: in alcune province, come quelle al confine con il Sudan e il Sud Sudan, si stima che meno del 10% della popolazione abbia accesso a fonti d’acqua sicura.
L’impatto della siccità e del cambiamento climatico
Uno dei fattori più critici del colera in Etiopia è senza dubbio l’impatto devastante della crisi climatica, basti pensare che negli ultimi cinque anni, la nazione ha attraversato una delle peggiori siccità della sua storia recente, specialmente nella regione del Corno d’Africa.
La mancanza di piogge ha ridotto drasticamente le risorse idriche disponibili, costringendo intere comunità a ricorrere a fonti d’acqua non trattate o condivise con animali da allevamento, ed il risultato è un’esposizione massiccia a batteri e patogeni.
Anche quando l’acqua è presente, la sua distribuzione è spesso disorganizzata e caotica, in più le infrastrutture idriche sono antiquate, poco manutenute o danneggiate dai conflitti armati, il che rende impossibile garantire la potabilità anche nelle aree urbane. Alcuni esperti parlano apertamente di una “catastrofe idrica in evoluzione”, in cui la scarsità di acqua si sovrappone alla contaminazione, creando un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
La minaccia dei ceppi multiresistenti
Un aspetto preoccupante di questa epidemia di colera in Etiopia è la comparsa di ceppi multiresistenti agli antibiotici, come quello che ha infettato i cittadini britannici e tedeschi dopo il pellegrinaggio a Bermel Georgis. Secondo i primi risultati delle analisi di laboratorio condotte in Europa, il ceppo isolato mostra resistenza a farmaci comunemente utilizzati come l’eritromicina e la tetraciclina.
Ciò solleva una questione cruciale, ovvero il rischio che l’Etiopia diventi un epicentro per la diffusione globale di ceppi resistenti, difficili da trattare e contenere, e in un mondo globalizzato, in cui le persone si muovono rapidamente tra continenti, anche un focolaio apparentemente localizzato può diventare un’emergenza sanitaria internazionale –vedasi il covid-19–.
Le misure adottate: tra emergenza e resilienza
Nonostante le difficoltà, il governo etiope ha avviato, in collaborazione con l’OMS e altre agenzie internazionali, un piano di risposta all’emergenza, con l’obiettivo principale che è stato quello di arginare la diffusione del contagio attraverso:
- la creazione di 17 centri di trattamento del colera, dislocati strategicamente in tutto il paese;
- l’invio di kit di reidratazione orale e antibiotici nei principali ospedali e presidi sanitari;
- l’attivazione di unità mobili per la distribuzione di acqua potabile clorata;
- la formazione di oltre 1.500 operatori sanitari locali per la gestione dei casi sospetti e l’educazione sanitaria nelle comunità a rischio.
Ciononostante, come spesso accade in contesti fragili, questi sforzi si sono scontrati con ostacoli logistici enormi: strade impercorribili, mancanza di carburante, carenze nei rifornimenti.
L’azione più efficace nel combattere il colera in Etiopia si è dimostrata quella comunitaria, con reti locali di volontari e operatori sanitari che hanno organizzato campagne informative porta a porta, in lingua locale, per spiegare come purificare l’acqua, riconoscere i sintomi e accedere ai centri di cura.
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