Con la crescente richiesta globale di energia e l’urgenza di ridurre le emissioni, la ricerca sulle alternative ai combustibili fossili sta accelerando e tra le tecnologie più promettenti troviamo le celle a combustibile a ossido solido, meglio note come SOFC (Solid-Oxide Fuel Cells): dispositivi in grado di convertire direttamente l’energia chimica dei combustibili in elettricità, continuando a funzionare finché il combustibile è disponibile.

Il loro potenziale è enorme, ma c’è un ostacolo storico: le SOFC richiedono temperature operative altissime (700–800 °C), rendendo necessario l’uso di materiali costosi e limitandone l’adozione commerciale.
Un team dell’Università di Kyushu, in uno studio pubblicato su Nature Materials, annuncia però una vera svolta: una SOFC in grado di operare a soli 300 °C mantenendo una conducibilità protonica paragonabile a quella delle celle moderne ad alta temperatura.
Se confermata e industrializzata, questa innovazione potrebbe abbattere drasticamente i costi, aprire la strada a modelli compatti destinati al mercato consumer e accelerare l’espansione dell’economia dell’idrogeno.
Come funziona davvero una SOFC e perché finora era così costosa
Al centro di ogni SOFC c’è l’elettrolita, una ceramica che trasporta protoni (ioni di idrogeno) tra gli elettrodi. Per funzionare in modo efficiente, i protoni devono muoversi rapidamente nel reticolo cristallino, e per farlo serve calore estremo.

Abbassare la temperatura operativa è sempre stato il “Santo Graal” del settore: richiederebbe materiali meno costosi, ridurrebbe l’usura, semplificherebbe la gestione termica e permetterebbe applicazioni più flessibili. Ma quasi tutte le ceramiche testate finora, una volta dopate per aumentare il numero di protoni, diventavano troppo “intasate” per lasciarli muovere liberamente.
Insomma: più protoni, meno velocità. Un vicolo cieco durato anni.
La soluzione: creare un’autostrada per i protoni
Il team giapponese ha trovato la chiave in una combinazione inaspettata: due ossidi già noti,
BaSnO₃ (stannato di bario) e BaTiO₃ (titanato di bario), dopati però con livelli insolitamente alti di scandio (Sc).
Il risultato? Una conducibilità protonica >0,01 S/cm a 300 °C, gli stessi numeri raggiunti oggi da elettroliti che lavorano a più del doppio della temperatura.

Secondo il professor Yoshihiro Yamazaki, che ha guidato lo studio: “Gli atomi di scandio creano una sorta di ScO₆ highway, una superstrada lungo cui i protoni viaggiano con una barriera di migrazione sorprendentemente bassa. Il percorso è largo, morbido e privo dei “punti di trappola” tipici degli ossidi fortemente dopati.“
Analisi strutturali e simulazioni di dinamica molecolare hanno inoltre mostrato che BaSnO₃ e BaTiO₃ sono materiali intrinsecamente più “morbidi” rispetto alle ceramiche SOFC tradizionali: questa loro elasticità permette di incorporare molto più scandio senza deteriorare il reticolo.
Cosa significa il discorso “celle” per il futuro dell’idrogeno
Se ulteriormente sviluppati, questi materiali potrebbero aprire la strada a:
- SOFC a temperatura intermedia (250–400 °C) molto più economiche
- sistemi più piccoli e meno complessi, adatti a case, uffici o mobilità leggera
- celle a combustibile integrate in elettrolizzatori e pompe a idrogeno
- reattori a bassa temperatura per convertire CO₂ in prodotti chimici utili
Una tecnologia, quindi, che non riguarda solo la produzione di energia, ma l’intera filiera della decarbonizzazione.
Come conclude Yamazaki: “Il nostro lavoro trasforma un paradosso scientifico in una soluzione pratica, portando l’energia dell’idrogeno più vicina alla vita quotidiana.“