Quasi ogni tipologia di cancro al fegato si sviluppa dopo decenni di malattie epatiche croniche, ma una nuova scoperta dei ricercatori della Columbia potrebbe portare a trattamenti che potrebbero interrompere il decorso cronico delle malattie epatiche.
La nuova ricerca ha dimostrato che durante la malattia epatica cronica uno spostamento nell’equilibrio delle cellule epatiche stellate quiescenti e attivate non solo promuove la fibrosi , ma pone anche le basi per il tipo più comune di cancro al fegato primario, chiamato carcinoma epatocellulare.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature.
Ecco come prevenire lo sviluppo del cancro al fegato
Secondo la nuova ricerca, potrebbe essere possibile prevenire lo sviluppo del cancro al fegato, la quarta causa di morte per cancro nel mondo, interferendo con l’attivazione delle cellule stellate. Il carcinoma epatocellulare si sviluppa quasi esclusivamente in pazienti con una malattia epatica cronica, tra cui cirrosi, epatite o steatosi epatica non alcolica. Queste malattie spesso causano tessuto cicatriziale esteso e progressivo (noto anche come fibrosi) nel fegato.
Schwabe e il suo team si sono concentrati sulle cellule stellate del fegato, così chiamate per le molteplici sporgenze che danno loro una forma simile a una stella, perché sono fortemente coinvolte nella fibrosi epatica. Dopo aver sviluppato nuovi strumenti genetici che consentono ai ricercatori di manipolare e analizzare le cellule stellate nei topi, Schwabe ha scoperto che la popolazione di queste cellule cambia con lo sviluppo del cancro.
“In un fegato sano, le cellule stellate sono quiescenti ed esprimono fattori, in particolare il fattore di crescita degli epatociti , che proteggono l’organo“, ha spiegato lo scienziato: “In presenza di malattia epatica cronica, tuttavia, il numero delle cellule stellate quiescenti protettive diminuisce mentre si attivano più cellule stellate“.
I carcinomi epatocellulari vengono in genere rilevati troppo tardi per essere curati e la maggior parte dei pazienti muore entro due anni dalla diagnosi nonostante nuove terapie mediche più efficienti come la combinazione di atezolizumab e bevacizumab. L’incidenza del carcinoma epatocellulare è triplicata negli ultimi 30 anni e si prevede che aumenterà ulteriormente a causa dell’aumento dei tassi di steatosi epatica non alcolica causata dall’aumento dell’obesità.
“Ma il ripristino dell’equilibrio delle cellule o dei mediatori associati nelle persone con malattia epatica cronica può ridurre il rischio di sviluppo di tumori in primo luogo. Questo sarebbe un enorme vantaggio per molti milioni di persone con malattia epatica cronica, che hanno un’alta probabilità di sviluppare il cancro al fegato“.
Il Professor Luigi Bolondi, Ordinario di Medicina Interna all’Università di Bologna, Direttore della Unità complessa di Medicina Interna al Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna, internista che si occupa prevalentemente di malattie del fegato, in particolare la diagnosi e la terapia dei tumori primitivi epatici, ha dichiarato: “Per tumore si intende qualunque formazione con caratteristiche anatomiche anomale all’interno di un organo“.
“Nel fegato, come in qualunque altro organo, si possono sviluppare tumori benigni e tumori maligni. I tumori maligni hanno la caratteristica di crescere in maniera anomala, invadendo e sovvertendo il tessuto circostante, determinando anche lesioni in altri organi che sono denominate metastasi. Fra i tumori maligni del fegato, il più frequente è l’Epatocarcinoma, che insorge quasi esclusivamente nei pazienti affetti da epatopatie croniche, di origine virale e non virale“.
“Per “nodulo” si intende una formazione di natura indeterminata riscontrata, in genere con una tecnica di immagine (ecografia, TAC o Risonanza Magnetica), nel contesto del fegato. Nei pazienti con epatopatia cronica, quando si riscontra un “nodulo”, è necessario effettuare altri accertamenti per arrivare a una caratterizzazione definitiva, in quanto, fino a prova contraria, ogni nodulo è sospetto per malignità. Occorre comunque ricordare che la distinzione non è sempre facile in quanto il processo di trasformazione maligna è complesso e possono esistere delle forme intermedie (noduli displastici) che non sono ancora tumori maligni ma lo possono diventare“.
“Generalmente i tumori maligni insorgono nel fegato cirrotico. È però possibile, in un numero limitato di casi, che essi possano insorgere anche su epatite cronica. Ciò è più frequente nei pazienti affetti da epatite B. L’ecografia, eseguita a intervalli regolari (ogni 6 mesi) nei pazienti con cirrosi epatica, nei pazienti con fibrosi avanzata e severa e nei pazienti portatori di epatite B, è la tecnica che più frequentemente porta alla scoperta del nodulo sospetto. Quando il nodulo è stato scoperto bisogna approfondire con ulteriori accertamenti“.
“Per capire se un nodulo è maligno è necessario valutare il suo aspetto dopo somministrazione di mezzo di contrasto per studiare la sua vascolarizzazione. La prima tecnica che abitualmente in Italia viene utilizzata è l’ecografia con mezzo di contrasto (CEUS). Se questa non chiarisce è necessario eseguire una TAC o una Risonanza Magnetica con mezzo di contrasto“.
“Questi esami sono necessari anche per la “stadiazione”, cioè per capire se nel fegato ci sono altri noduli (eventualmente non visibili all’ecografia) e se si è verificato anche un coinvolgimento delle strutture vascolari intraepatiche. Va ricordato che la Risonanza Magnetica è la tecnica con la maggiore accuratezza diagnostica. Essa inoltre si può avvalere anche di mezzi di contrasto epatospecifici che possono fornire ulteriori informazioni nei noduli poco vascolarizzati“.
“Non sempre, comunque, nonostante tutti gli approfondimenti, si riesca a chiarire la natura del nodulo (se benigno, displastico o maligno), soprattutto nei noduli di piccole dimensioni (<1cm o<2cm). In questi casi è necessario eseguire una biopsia epatica ecoguidata. E’ opportuno eseguire una ecografia ogni 6 mesi. Un intervallo superiore espone il paziente al rischio di trovare noduli di dimensioni maggiori e pertanto più difficilmente curabili con interventi radicali“.
“Anche i pazienti che hanno eliminato il virus C devono continuare il programma di sorveglianza ecografica, in quanto il rischio di sviluppare noduli è diminuito ma non del tutto azzerato. Si ritiene che i rischi siano maggiori per i pazienti con una storia di malattia più lunga o con una fibrosi avanzata o cirrosi. In ogni caso l’intervallo consigliato è sempre 6 mesi“.
Secondo l’AIRC: “L’incidenza del tumore epatico varia molto a seconda delle zone geografiche: è più diffuso in Asia rispetto a Stati Uniti ed Europa. È il sesto tumore più frequente a livello mondiale e la seconda causa di morte per neoplasia: nel 2012 oltre 700.000 persone nel mondo sono morte di cancro al fegato“.
“In Italia è più raro: si stima che ogni anno siano diagnosticati circa 8.900 tumori primari del fegato negli uomini e 4.000 nelle donne (Registro tumori italiano 2017), con un rapporto di circa 2 a 1 tra uomini e donne. Negli uomini l’incidenza cresce rapidamente con l’età: si passa da 3 per 100.000 casi sotto i 45 anni, a 32 per 100.000 nelle persone con età compresa tra 60 e 64 anni, fino a 62 per 100.000 oltre i 75 anni“.
“Sono invece più frequenti i tumori secondari, ovvero le metastasi che colonizzano il fegato provenendo da altri organi. Il fegato, infatti, proprio per la sua funzione di filtro dell’organismo, riceve il sangue da quasi tutti i distretti corporei e quindi è facilmente sede di metastasi di altri tumori che trovano nel fegato una sede favorevole al loro sviluppo“.
“Non è ancora noto l’esatto meccanismo con il quale si sviluppa il tumore del fegato e restano molti punti da chiarire. Alcuni elementi, tuttavia, sono dei sicuri fattori di rischio: virus epatici di tipo B e C, che si trasmettono attraverso il sangue o i rapporti sessuali o dalla madre al figlio durante la gravidanza. Le epatiti virali spesso non danno alcun sintomo, anche se la loro presenza è facilmente rilevabile tramite un esame del sangue“.
“L’infezione da virus B, però, si può prevenire con un vaccino che oggi viene somministrato a tutti i neonati ed è comunque utile a qualunque età. Se l’epatite diventa cronica può causare, anche dopo molti anni, la degenerazione tumorale degli epatociti. Contro l’epatite C sono disponibili farmaci molto efficaci che dovrebbero nel tempo ridurre il numero di casi di questa malattia e di conseguenza il numero di tumori“.