Le bolle dello spazio sino il nuovo obiettivo di ricerca della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), che ha deciso di esaminarle per migliorare la qualità della vita dei terrestri: lo scopo di questo studio infatti riguarda la possibilità di migliorare l’indagine diagnostica dei tumori.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Advanced Materials Interface.
Bolle dello spazio: ecco come possono aiutare la ricerca sul cancro
La ricerca, capitanata da Tengfei Luo, docente presso il Dipartimento di ingegneria aerospaziale, insieme ad un gruppo di esperti, spera di poter decifrare la modalità con la quale le bolle dello spazio si generano, crescono per poi separarsi dalla superficie. Come osservato su un precedente studio sulla misurazione dei cromosomi umani, le informazioni potrebbero rivelarsi fondamentali per potenziare le diagnosi di patologie severe che interessano alcuni tipi di tumore. Le analisi saranno portate avanti dagli astronauti a bordo della ISS, e i risultati saranno inviati in tempo reale sul pianeta Terra per essere ulteriormente analizzati.
Tengfei Luo nella sua ricerca si è servito del riscaldamento laser per generare bolle in una soluzione contenente molecole biologiche. I risultati si sono mostrati interessanti: le molecole stesse possono essere attratte nella stessa bolla per essere depositate sulla superficie, al fine di creare una sorta di isola ad altissima concentrazione per potenziare in un futuro si spera non troppo lontano l’indagine diagnostica. Lo studio ha anche testato il comportamento delle bolle in assenza di gravità, per capire quali sono le condizioni che possono influenzare negativamente le loro dinamiche in situazioni ambientali tradizionali, come la gravità, la forza capillare e l’attrito.
Il comportamento delle bolle dello spazio quindi diventa imprescindibile quando vengono utilizzate per raccogliere biomarcatori per la diagnosi precoce dei tumori. L’obiettivo della ricerca sarà quello di trattenere la bolla in superficie per più tempo possibile, in modo che possa raccogliere più biomolecole in un’unica soluzione, sfruttando nanostrutture per ottimizzare la forza capillare ed evitare che si separi una volta divenuta troppo grande. L’esperimento verrà portato avanti nelle prossime settimane grazie ad un dispositivo chiamato CubeLab, equipaggiato con quattro compartimenti fluidi, capacità termiche per riscaldare la soluzione presa in esame ed una fotocamera che scatterà e spedirà immagini di ogni compartimento in tempo reale.