C’è qualcosa che bolle sotto Yellowstone. Letteralmente.
Un team di geologi ha scoperto che il supervulcano più famoso d’America non è affatto addormentato – anzi, respira ancora. E il motivo per cui non è esploso negli ultimi millenni? Un gigantesco “coperchio” di magma che trattiene pressione e gas… per ora.
E no, non è la trama di un disaster movie, anche se ci assomiglia parecchio.
Il tappo che trattiene il caos
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature, gli scienziati hanno identificato una struttura ricca di gas volatili situata a circa 3,8 km sotto la superficie del Parco Nazionale di Yellowstone.
Una specie di strato-tappo che si comporta come un coperchio: blocca la pressione e il calore del sistema vulcanico sottostante, evitando che sfoghi in modo… esplosivo.
Il professor Brandon Schmandt della Rice University, co-autore della ricerca, ha spiegato che questa “cupola” non è una novità in senso assoluto. Ma è la prima volta che viene mappata in dettaglio e compresa nel suo ruolo di potenziale freno naturale alle eruzioni.
Sotto pressione… da milioni di anni
Yellowstone ha già eruttato più volte nella storia geologica della Terra, con effetti devastanti. L’ultima super-eruzione è avvenuta circa 640.000 anni fa, e gli esperti concordano: se dovesse succedere di nuovo, non sarebbe affatto una bella giornata per il genere umano.
Ma grazie a questo nuovo studio, sappiamo che il serbatoio magmatico è ancora lì, attivo, vivo. Solo che si comporta in modo molto più… contenuto.
Come hanno scoperto tutto questo?
Con un camion. Sì, hai letto bene.
Per esplorare cosa c’è sotto Yellowstone, i ricercatori hanno usato un “vibroseis truck”, un enorme veicolo progettato per le esplorazioni petrolifere che genera onde sismiche artificiali.
Le vibrazioni prodotte permettono di “leggere” il sottosuolo come se fosse una radiografia geologica.
E indovina un po’? A circa 2,36 miglia di profondità hanno rilevato una discontinuità netta, una specie di riflettore sismico che indica la presenza di materiale molto diverso da quello sopra e sotto.
In parole povere: c’è un confine, e sotto quel confine c’è una miscela di roccia parzialmente fusa e bolle di gas.
Niente panico: non sta per esplodere (almeno, non oggi)

Una delle domande più ovvie è: ma quindi esploderà?
La risposta, per fortuna, è no. Almeno secondo i dati attuali.
Le simulazioni mostrano che i gas – come vapore e CO₂ – riescono a fuoriuscire lentamente, tramite fratture e canali tra i cristalli minerali.
Questo “sfiato naturale” aiuta a ridurre la pressione interna e, di conseguenza, diminuisce il rischio di un’eruzione improvvisa.
Schmandt lo dice chiaramente: “La quantità di bolle e materiale fuso è ben al di sotto dei livelli che di solito precedono un’eruzione imminente”.
E allora cosa cambia con questa scoperta?
Tantissimo, in realtà.
Capire meglio la struttura interna del supervulcano aiuta i vulcanologi a sviluppare modelli più precisi. E soprattutto, permette di monitorare meglio segnali di potenziale attività futura.
Più sappiamo di cosa succede sotto la superficie, più siamo pronti ad affrontare eventuali cambiamenti.
Inoltre, queste informazioni sono utili anche per applicazioni collaterali come:
- lo sviluppo dell’energia geotermica,
- lo stoccaggio sotterraneo di CO₂,
- e lo studio di ambienti vulcanici simili in altre zone del mondo.
Quindi Yellowstone è stabile?
La parola giusta non è “stabile”. È dinamico, ma per ora ben contenuto.
Il serbatoio sotto il parco non è spento, ma “tappato”. E finché quel tappo regge, possiamo dormire sonni abbastanza tranquilli.
Ma come insegna la geologia, niente è per sempre.
Quindi forse meglio continuare a studiarlo, più che ignorarlo.