Un casco che sembra quello di un pilota, ma non serve a proteggere. Al contrario, invia colpi invisibili al cervello: micro-impulsi a ultrasuoni che attraversano il cranio senza lasciare traccia. È la nuova frontiera della neuroterapia non invasiva, sviluppata da un team britannico guidato da Bradley Treeby dell’University College London e da Ioana Grigoras dell’Università di Oxford.
L’idea è semplice da descrivere, ma sorprendente nei risultati: usare 256 trasduttori ultrasonici coordinati per raggiungere i circuiti profondi del cervello senza interventi chirurgici.
Il problema della neuroterapia tradizionale

Da decenni la medicina neurologica affronta un dilemma. Alcune patologie come Parkinson, depressione resistente ai farmaci o tremori essenziali possono essere trattate con la stimolazione cerebrale profonda, ma il prezzo da pagare è alto: impiantare elettrodi nel cervello.
Esiste anche la stimolazione a ultrasuoni, meno aggressiva, ma fino a oggi era limitata agli strati superficiali. Non riusciva a raggiungere le strutture profonde, dove hanno origine molti disturbi neurologici. In pratica, si poteva scegliere tra efficacia e sicurezza, senza una vera alternativa.
Dall’idea all’orchestra di ultrasuoni
Invece di un singolo trasduttore potente, Treeby e colleghi hanno costruito un casco con 256 elementi ultrasonici che lavorano insieme. È come passare da un martello a un’orchestra di scalpelli.
Ogni trasduttore emette un fascio debole, ma tutti convergono matematicamente sullo stesso punto. Il risultato? Una precisione fino a 1000 volte superiore rispetto ai sistemi tradizionali.
Il casco lavora a 555 kHz, una frequenza capace di attraversare i tessuti cerebrali senza perdere coerenza. Per garantire la stabilità, una maschera in plastica mantiene la testa ferma: basta uno spostamento minimo per colpire aree indesiderate.
I primi test su volontari

Lo studio, pubblicato su Nature Communications, ha coinvolto sette volontari. I ricercatori hanno puntato il sistema sul nucleo genicolato laterale (LGN), nel talamo, una regione cruciale per l’elaborazione visiva.
Mentre i partecipanti osservavano uno schema a scacchiera lampeggiante, il casco inviava impulsi ultrasonici mirati. Le scansioni fMRI hanno mostrato un aumento di attività nella corteccia visiva. In altre parole, i segnali hanno raggiunto il bersaglio in profondità, modificando il comportamento neuronale senza dolore né percezioni sensibili.
Effetti che durano oltre la stimolazione
Il secondo esperimento ha rivelato un dettaglio chiave: l’attività alterata nella corteccia visiva è rimasta per almeno 40 minuti dopo la stimolazione.
Questo significa che la terapia non richiede trattamenti continui. Sessioni periodiche potrebbero bastare per rimodulare i circuiti difettosi per ore, forse giorni. Una sorta di programmazione del cervello, che mantiene la nuova configurazione anche a stimolazione conclusa.
Vantaggi clinici rispetto al bisturi
Il confronto con la chirurgia è immediato:
- Nessun taglio
- Nessun impianto permanente
- Zero rischi di infezione

Per i pazienti con Parkinson significherebbe evitare l’impianto di elettrodi. Per chi soffre di depressione resistente, una terapia personalizzabile nel tempo. Per i tremori essenziali, trattamenti regolari senza sala operatoria.
La tecnologia potrebbe diventare anche uno strumento di ricerca rivoluzionario: per la prima volta, i neuroscienziati possono studiare i circuiti profondi in tempo reale, senza chirurgia.
Compatibilità con la risonanza magnetica
Un altro vantaggio è la compatibilità con la fMRI. Il sistema funziona mentre il paziente è dentro la risonanza magnetica, permettendo di monitorare gli effetti in diretta e regolare i parametri in corso d’opera.
Come ha spiegato Eleanor Martin, prima autrice dello studio: “Abbiamo voluto un sistema compatibile con la risonanza, così possiamo osservare e adattare gli effetti della stimolazione in tempo reale”.
Una tecnologia pronta per uscire dai laboratori
Il potenziale clinico è tale che alcuni ricercatori hanno fondato NeuroHarmonics, una startup nata da UCL. L’obiettivo è sviluppare versioni portatili e indossabili del casco, pronte per le cliniche e, in futuro, anche per trattamenti più diffusi.
Precisione invisibile
Il paradosso è affascinante: la terapia cerebrale più precisa mai sviluppata è anche la meno invasiva. Niente bisturi, niente cicatrici, niente impianti.
Bradley Treeby lo definisce così: “La possibilità di modulare con precisione le strutture profonde senza chirurgia è un cambio radicale nella neuroscienza, sicuro, reversibile e ripetibile”.

Sfide ancora aperte
Nonostante i risultati promettenti, ci sono ostacoli da superare:
- Servono studi clinici su larga scala
- Bisogna rendere i caschi più leggeri e pratici
- Occorre tener conto delle differenze anatomiche individuali
L’obiettivo a medio termine è arrivare a sistemi personalizzati, calibrati sulla fisiologia del singolo paziente.
Una finestra sul futuro
Wireless Neurotherapy non è solo un passo tecnologico. È un nuovo modo di intendere la cura del cervello: meno invasivo, più preciso e adattabile.
Se validata da studi clinici più ampi, questa tecnologia potrebbe trasformare la vita di milioni di pazienti con disturbi neurologici e psichiatrici. Ma non solo: potrà anche spingere la ricerca neuroscientifica verso territori che finora sembravano fantascienza.
Meglio un’orchestra di ultrasuoni oggi che un bisturi domani.
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