C’è una domanda che, a prima vista, sembra uscita da Matrix o da un libro di Philip K. Dick: viviamo in una simulazione? Non è solo fantascienza, né un gioco filosofico da bar. Da decenni fisici teorici, informatici e filosofi seriamente considerano l’ipotesi che la realtà stessa sia un’elaborazione artificiale, un codice che governa tutto ciò che percepiamo: spazio, tempo, materia, perfino la coscienza.
Se ti sembra folle, fermati un attimo: oggi con un PC da gaming possiamo simulare mondi virtuali credibili, dove avatar e intelligenze artificiali si muovono come se fossero vivi. Immagina cosa potrebbe fare una civiltà con migliaia o milioni di anni di vantaggio tecnologico.
L’ipotesi della simulazione: da filosofia a scienza

Il punto di svolta arriva nel 2003 con il filosofo svedese Nick Bostrom, professore a Oxford. Nel suo celebre paper Are You Living in a Computer Simulation? ha formulato un ragionamento logico in tre scenari:
- Quasi tutte le civiltà si estinguono prima di avere la capacità tecnologica di simulare interi universi.
- Alcune ci arrivano, ma scelgono di non farlo (per etica o mancanza di interesse).
- Una civiltà supera quella soglia e crea talmente tante simulazioni da rendere statisticamente molto più probabile che tu stia vivendo in una realtà simulata, piuttosto che nell’universo “base”.
La terza ipotesi è la più inquietante. Se anche una sola civiltà post-umana decidesse di avviare simulazioni su larga scala, allora le coscienze simulate supererebbero di gran lunga quelle biologiche. In quel caso, la probabilità che tu sia “reale” crolla a zero.
Indizi dalla fisica quantistica

Non servono solo ragionamenti filosofici. La fisica quantistica sembra strizzare l’occhio a questa idea. L’esperimento della doppia fenditura, ad esempio, mostra che le particelle subatomiche si comportano diversamente se osservate o meno. È come se l’universo “renderizzasse” la realtà solo nel momento in cui viene guardata, un po’ come fa un videogioco per risparmiare risorse.
C’è poi il limite di Planck, che indica l’esistenza di una risoluzione minima dello spazio-tempo. Sotto quella scala, parlare di spazio o tempo non ha senso. Suona familiare? Sì: è come avere un numero finito di pixel in un monitor.
E ancora, il principio olografico suggerisce che tutte le informazioni contenute in un volume di spazio possano essere codificate sulla sua superficie bidimensionale, come se l’universo fosse una proiezione 3D di dati incisi su un confine 2D.
Il linguaggio perfetto delle leggi fisiche
Molti scienziati hanno sottolineato un altro dettaglio: le leggi della fisica sembrano troppo perfette. Costanti universali come la velocità della luce o la carica dell’elettrone non oscillano mai. Sono immutabili e calibrate in modo da permettere l’esistenza della vita. Michio Kaku, fisico teorico di fama mondiale, ha detto che tutto questo sembra più il lavoro di un programmatore che il risultato del caos.
Se cambiassi anche solo di poco una costante, l’universo collasserebbe o sarebbe sterile. Non è un po’ come se qualcuno avesse impostato i parametri di un software?
E se fosse un test?

Una delle versioni più suggestive dell’ipotesi è che la simulazione non sia solo una replica casuale, ma un esperimento controllato. Forse per studiare l’evoluzione della coscienza, forse per osservare il comportamento morale degli esseri intelligenti.
Potremmo essere il frutto di una ricerca di entità post-biologiche, o addirittura di noi stessi nel futuro, che hanno deciso di simulare il passato per comprenderlo meglio.
I big della tecnologia ci credono davvero?
Non sono solo filosofi a parlarne. Elon Musk ha dichiarato che la probabilità di vivere nella realtà base è “una su miliardi”. Secondo lui, se i videogiochi continuano a migliorare al ritmo attuale, in futuro sarà impossibile distinguere un mondo simulato dalla realtà.
E non dimentichiamo che già oggi le intelligenze artificiali vengono addestrate in ambienti virtuali perché imparano meglio lì che nel mondo reale. Se noi, con tecnologia primitiva, facciamo questo, quanto più potente potrebbe essere una civiltà con secoli di progresso?
I “glitch” della realtà
Alcuni ricercatori al Fermilab e al MIT hanno cercato limiti computazionali nell’universo. L’idea è che se viviamo in una simulazione, dovrebbero esistere dei glitch, imperfezioni, come la grana dei pixel o un frame drop in un videogioco. Per ora non ci sono prove definitive, ma alcune anomalie nei raggi cosmici e nei comportamenti quantistici fanno discutere.
Le conseguenze filosofiche
Se tutto fosse vero, cosa cambierebbe? Poco, forse. Ami, soffri, scegli, vivi: le tue emozioni sono reali per te, anche se fossero righe di codice. Ma la questione più profonda riguarda il libero arbitrio: se siamo simulati, le nostre scelte sono programmate o autentiche?
E poi c’è la domanda delle domande: perché ci hanno simulato? Per curiosità? Per intrattenimento? Per calcolare possibilità future?
E se la simulazione finisse?
C’è un pensiero che inquieta molti scienziati: se viviamo in una simulazione, allora chi l’ha creata può spegnerla in qualsiasi momento. Non serve l’apocalisse nucleare, basterebbe un click. Ogni catastrofe inspiegabile, ogni “anomalia” potrebbe essere un aggiornamento di sistema.
Viviamo in una simulazione? Non lo sappiamo, ma possiamo chiederlo
La scienza non ha ancora la risposta. Ma la differenza rispetto al passato è che oggi abbiamo gli strumenti per indagare. Supercomputer, fisica teorica, intelligenza artificiale: tutto converge verso la possibilità di testare questa ipotesi.
Forse non sapremo mai la verità definitiva. Ma il fatto stesso di porci seriamente la domanda dimostra quanto siamo andati avanti come specie.
La domanda viviamo in una simulazione?
Non è solo un esercizio di stile. È una delle sfide intellettuali più radicali del nostro tempo. Se un giorno dovessimo scoprire che sì, siamo parte di un codice cosmico, il problema non sarà più capire se è così, ma perché.
E a quel punto, forse, la ricerca più importante non sarà verso l’esterno, ma dentro noi stessi.
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