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Vita nello spazio? Il mistero (ancora aperto) di K2-18b, il pianeta che ha fatto sognare gli scienziati

K2-18b potrebbe ospitare vita? Il pianeta mostra molecole sospette, ma la scienza frena: ecco cosa dicono gli studi più recenti e perché serve prudenza.

Massimo 7 ore fa Commenta! 5
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Una scoperta sensazionale, poi mille dubbi. Un pianeta a 120 anni luce da noi ha acceso le speranze di trovare finalmente tracce di vita extraterrestre. Ma ora la storia si complica. E la scienza, come spesso accade, ci mostra che ogni indizio va preso con le pinze.

Contenuti di questo articolo
L’ipotesi che ha acceso il dibattito: DMS e DMDSK2-18b: cos’è e perché interessa tantoI primi dubbi: dati troppo rumorosi, segnali troppo deboliTemperature troppo alte per la vita come la conosciamo?Modelli troppo limitati: la critica di Welbanks e NixonMadhusudhan rilancia: nuovi dati, stesso candidatoE quindi? C’è vita su K2-18b?La posta in gioco

L’ipotesi che ha acceso il dibattito: DMS e DMDS

Tutto è cominciato con un piccolo segnale captato dal James Webb Space Telescope: due molecole — il dimetil solfuro (DMS) e il dimetil disolfuro (DMDS) — rilevate nell’atmosfera del pianeta K2-18b. Suona tecnico? Lo è. Ma fidati: queste sono le stesse molecole che, sulla Terra, derivano quasi esclusivamente da organismi viventi.

Insomma, si è subito pensato: abbiamo trovato una biosignatura?

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K2-18b: cos’è e perché interessa tanto

Questo pianeta ha un profilo decisamente interessante: 8,6 volte più massiccio della Terra, orbita nella zona abitabile di una nana rossa, ed è probabilmente un mondo Hycean, ovvero ricoperto d’acqua con un’atmosfera ricca di idrogeno. Gli scienziati dell’Università di Cambridge guidati da Nikku Madhusudhan ci hanno visto terreno fertile per la vita.

Ma attenzione: la strada verso la conferma è tutt’altro che dritta.

I primi dubbi: dati troppo rumorosi, segnali troppo deboli

K2-18b

Il problema è arrivato quasi subito. Altri team di astronomi — tra cui Rafael Luque e Michael Zhang dell’Università di Chicago — hanno analizzato gli stessi dati e… trovato qualcosa di molto diverso.

Le osservazioni erano affette da “rumore”: disturbi causati dalla strumentazione o dalle condizioni di osservazione, che possono distorcere i risultati. E quei segnali attribuiti a DMS e DMDS? Troppo simili a quelli di altre molecole organiche più comuni, come l’etano.

Risultato: nessuna evidenza solida di molecole legate alla vita.

Temperature troppo alte per la vita come la conosciamo?

Altro colpo di scena: nel nuovo studio di aprile 2025, la temperatura stimata di K2-18b è salita a 422 Kelvin (circa 149 °C). Niente male per un mondo potenzialmente abitabile, eh?

Questo valore — molto più alto delle stime del 2023 — complica ulteriormente il quadro. Se la parte alta dell’atmosfera è così calda, la superficie o gli oceani sottostanti potrebbero essere inospitali per qualsiasi forma di vita.

Modelli troppo limitati: la critica di Welbanks e Nixon

Anche l’Arizona State University è intervenuta nel dibattito. Il team guidato da Luis Welbanks e Matt Nixon ha analizzato il modello usato da Madhusudhan… e lo ha ritenuto troppo restrittivo. Nessuna alternativa chimica era stata considerata.

Quando loro hanno ampliato il modello per includere altre 650 molecole, il segnale di DMS è letteralmente svanito. Nessuna traccia chiara. Nessuna prova robusta.

Madhusudhan rilancia: nuovi dati, stesso candidato

Il gruppo di Cambridge, però, non si è arreso. Ha pubblicato una nuova ricerca con l’analisi più estesa mai fatta su K2-18b, basata su tutti i dati disponibili e centinaia di molecole simulate. Risultato? Il DMS continua a essere un possibile candidato, ma — come dicono loro stessi — serve molta più cautela.

Al momento siamo a una significatività statistica di 3 sigma: troppo bassa per parlare di scoperta. Per gridare al miracolo servirebbe almeno 5 sigma.

E quindi? C’è vita su K2-18b?

Esiste la vita sui pianeti iceani il caso di k2-18b

La risposta, per ora, è un gigantesco “forse”. Nessuno ha mentito, nessuno ha inventato dati. Semplicemente, la scienza funziona così: si propone un’ipotesi, si verifica, si confuta, si riformula. E si riparte.

Quello che possiamo dire è che mai prima d’ora eravamo andati così vicini a un possibile biosignature su un pianeta lontano. Ma il cammino è ancora lungo — e sarà fatto di altre osservazioni, confronti tra team, strumenti migliori.

Come ha detto Welbanks: “Non è un fallimento. È il metodo scientifico in azione”.

La posta in gioco

Questa storia è un esempio perfetto di quanto sia complicato — e affascinante — cercare la vita oltre la Terra. Ogni molecola analizzata, ogni spettro luminoso catturato ci avvicina un po’ di più a rispondere alla domanda più antica: siamo soli nell’universo?

Magari no. Ma ci vorranno ancora tempo, pazienza e un bel po’ di dati per scoprirlo.

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