Tra teschi rossi lampeggianti, serpenti digitali e schermi che esplodono in un mare di dati luminosi, Hollywood ci ha abituati a vedere i virus informatici come mostri in CGI. Ma quanto c’è di vero in queste rappresentazioni? Spoiler: praticamente nulla.
Il virus in 3D secondo il cinema
Nei film e nelle serie TV, un virus informatico è spesso rappresentato come un’entità animata che si infiltra nei sistemi informatici in tempo reale, con tanto di effetti speciali: reti neurali visualizzate come tunnel di luce, schermate che si deformano, icone che prendono fuoco, antivirus che combattono in stile Tron.

In alcuni casi, vediamo veri e propri “avatar” digitali che distruggono file o lottano contro difese software. Sembra Matrix ma con meno filosofia.
Il problema? Tutto questo è assurdo, dal punto di vista tecnico.
Perché i film li rappresentano così?
I virus in 3d sono rappresentati così per varie ragioni
1. Espediente narrativo
In un film, c’è poco tempo per spiegare concetti complessi; quindi si sceglie una rappresentazione visiva. Far vedere un virus come un’entità animata è una scorciatoia narrativa per dire: “Sta succedendo qualcosa di pericoloso dentro il computer.”
2. Effetto spettacolare
Mostrare un hacker che digita comandi come sudo rm -rf /
o che analizza una hexdump
non è spettacolare: nessuno pagherebbe il biglietto per vedere 5 minuti di terminale statico.
3. Illusione di comprensione
Molte rappresentazioni visive nei film servono a far credere al pubblico di aver capito cosa succede.
Una CGI con animazioni fluide dà l’illusione di competenza tecnica, anche se dietro c’è il vuoto.
I peggiori cliché da film
Breve lista di peggiori cliché da film (e il virus in 3D è forse il meno peggio…):
- Il virus come mostro 3D animato: assurdo. Non esiste un’unità centrale dove “vive”.
- L’antivirus che lotta contro il virus in stile videogioco: nope. Un antivirus cerca pattern o comportamenti, non fa a botte.
- La barra di avanzamento che mostra l’infezione: la realtà è che spesso un virus è già attivo da settimane prima di essere scoperto.
- L’hacker che “carica” il virus in 5 secondi: nella realtà, l’infezione spesso sfrutta vulnerabilità silenziose e zero-day.
- Lo “shutdown” esplosivo del sistema: nella vita reale, il malware è spesso subdolo, vuole restare nascosto il più a lungo possibile.

Ma allora… come si vede un virus?
Non si vede.
Si rileva.
E lo si fa con strumenti come:
- Process Explorer / htop
- Wireshark
- Sysinternals
- ClamAV, Chkrootkit o rkhunter su Linux
- Analisi forense della RAM o del disco
- Monitoraggio comportamentale (behavioral analysis)
Oppure si nota un comportamento anomalo: CPU sempre al 100%, dischi attivi anche a riposo, connessioni sospette in uscita, crash inspiegabili.
Virus e sceneggiature: un matrimonio infelice
L’idea del “virus che si propaga nel mainframe” è un retaggio culturale degli anni ’80 e ’90, quando il concetto stesso di informatica era esotico. Oggi, con miliardi di persone connesse, è ora di cambiare approccio anche nel racconto.
Una rappresentazione realistica potrebbe essere:
- Un server che inizia a inviare pacchetti a un indirizzo sconosciuto.
- Un analista che confronta l’hash di un eseguibile con VirusTotal.
- Una reverse engineering su un binario sconosciuto.
Meno spettacolare? Forse. Ma decisamente più interessante, se ben scritto.
Capacità di calcolo (CPU e GPU) dell’utente medio
Per far girare un virus in 3D come quelli che vediamo nei film o nelle serie TV, servirebbe un hardware grafico di tutto rispetto: stiamo parlando di rendering in tempo reale, effetti particellari, magari ray tracing simulato… roba che neanche certi giochi indie si possono permettere.

E allora come potrebbe mai un virus simile girare sul classico portatile di 12 anni fa, magari resuscitato con una distro Linux leggera o addirittura con Windows 11 installato a forza tramite Rufus?
Se esistessero davvero virus “grafici” come nei film, metà del parco macchine mondiale si impallerebbe ancora prima che il malware possa mostrare il suo teschio animato.
E questo rende il tutto ancora più ridicolo.
Conclusione: la realtà è silenziosa
Come direbbe John Carmack: “La vera potenza del codice è nell’invisibilità. Quando funziona, non lo noti. Quando fa danni, è già troppo tardi.”
Se vuoi fare informazione seria sull’informatica, lasciale perdere le esplosioni digitali e comincia a raccontare la verità silenziosa del codice.