Un nuovo studio ha indicato una potenziale correlazione tra un virus comune, precedentemente ritenuto innocuo per l’uomo, e lo sviluppo del morbo di Parkinson. Il germe in questione, il Pegivirus Umano (HPgV), è stato rilevato nella metà dei campioni cerebrali post-mortem di pazienti affetti da Parkinson, mentre era assente in quelli di individui sani.

Possibile connessione tra un virus comune e il morbo di Parkinson
“L’HPgV è un’infezione comune e asintomatica, della quale non si sapeva precedentemente che infettasse frequentemente il cervello”, ha dichiarato in un comunicato stampa il dottor Igor Koralnik, ricercatore principale e responsabile delle malattie neuroinfettive e di neurologia globale presso la Northwestern Medicine di Chicago. Ha espresso sorpresa per la frequenza con cui il virus è stato rinvenuto nei cervelli dei pazienti con Parkinson rispetto ai controlli. Koralnik ha inoltre spiegato che il virus sembra scatenare risposte immunitarie diverse negli individui, a seconda della loro predisposizione genetica.
“Ciò suggerisce che potrebbe trattarsi di un fattore ambientale che interagisce con l’organismo in modi che prima non avevamo previsto”, ha affermato Koralnik. “Per un virus che si pensava fosse innocuo, questi risultati suggeriscono che potrebbe avere effetti importanti nel contesto del morbo di Parkinson. Potrebbe influenzare il modo in cui si sviluppa, soprattutto nelle persone con determinati background genetici”.
Il morbo di Parkinson è una condizione neurodegenerativa che si manifesta quando le cellule cerebrali responsabili della produzione di dopamina, un neurotrasmettitore cruciale, iniziano a morire o a deteriorarsi. Con la diminuzione dei livelli di dopamina, i pazienti sviluppano sintomi motori come tremori, rigidità e difficoltà a mantenere l’equilibrio e la coordinazione

Negli Stati Uniti, oltre 1 milione di persone convive con il morbo di Parkinson, tra cui figure note come gli attori Michael J. Fox e Alan Alda, il cantante Neil Diamond e la leggenda del football Brett Favre. I ricercatori stimano che ogni anno vengano diagnosticati circa 90.000 nuovi casi.
La maggior parte dei casi di morbo di Parkinson non è legata alla genetica individuale, il che spinge i ricercatori a indagare su quali fattori ambientali possano innescare la morte delle cellule nervose produttrici di dopamina.
L’HPgV nei cervelli di pazienti con Parkinson: uno studio autoptico
Per il recente studio, i ricercatori hanno condotto autopsie sui cervelli di 10 pazienti affetti dal morbo di Parkinson e di 14 individui senza questa patologia. Il team ha rilevato il Pegivirus Umano (HPgV) in cinque dei dieci cervelli di persone con Parkinson, ma in nessuno dei 14 cervelli sani. Questo virus è stato riscontrato anche nel liquido spinale dei pazienti con Parkinson, ma non nel gruppo di controllo. Inoltre, i ricercatori hanno osservato che i pazienti con HPgV presentavano danni cerebrali più estesi.

Successivamente, i ricercatori hanno analizzato campioni di sangue da oltre 1.000 partecipanti alla Parkinson’s Progression Markers Initiative, una vasta raccolta di campioni biologici disponibile per la ricerca sul Parkinson. L’HPgV è un virus trasmesso per via ematica, appartenente alla stessa famiglia dell’epatite C.
Dall’analisi è emerso che solo circa l’1% dei pazienti affetti da Parkinson presentava HPgV nei campioni di sangue. Tuttavia, le persone con il virus hanno mostrato segnali distinti dal loro sistema immunitario, in particolare quelle con una mutazione genetica legata al Parkinson chiamata LRRK2.

“Abbiamo intenzione di analizzare più attentamente il modo in cui geni come LRRK2 influenzano la risposta dell’organismo ad altre infezioni virali, per capire se si tratta di un effetto speciale dell’HPgV o di una risposta più ampia ai virus”, ha affermato Koralnik.
Il futuro della ricerca sul Parkinson: virus, geni e nuove terapie
Una delle domande più significative a cui il team del Dottor Igor Koralnik intende rispondere riguarda la frequenza con cui il virus HPgV riesce a penetrare nel cervello, sia nelle persone con che senza Parkinson. Comprendere questa dinamica è fondamentale per stabilire il ruolo del virus nello sviluppo della patologia. Se il virus fosse presente anche in cervelli sani, si dovrebbe indagare quali specifici fattori aggiuntivi, magari genetici o ambientali, ne determinano la patogenicità solo in alcuni individui.
Un altro filone di ricerca prioritario è l’analisi approfondita dell’interazione tra virus e geni. È plausibile che la predisposizione genetica di un individuo possa modulare la risposta del sistema immunitario all’HPgV, influenzando così la suscettibilità allo sviluppo del Parkinson. Ad esempio, la mutazione genetica LRRK2, già nota per essere correlata al Parkinson, potrebbe alterare il modo in cui il corpo reagisce all’infezione virale, creando un ambiente favorevole alla neurodegenerazione.

Queste informazioni, una volta acquisite, potrebbero rivelare in modo più preciso come il Parkinson abbia inizio e, aspetto ancora più cruciale, contribuire a orientare le terapie future. Se si scoprisse un meccanismo specifico attraverso cui il virus, in combinazione con determinate predisposizioni genetiche, innesca la malattia, si potrebbero sviluppare approcci terapeutici mirati. Questi potrebbero includere terapie antivirali specifiche, modulazioni della risposta immunitaria o interventi genici per mitigare gli effetti della predisposizione. La comprensione di queste intricate interazioni apre nuove, promettenti vie per la prevenzione e il trattamento del morbo di Parkinson.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista JCI Insight.