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PsicologiaScienza

Lo strano post social dei videogiochi anni 90 che sarebbero migliori secondo uno psicologo

Uno strano post, ovviamente privo di fonti, tenta di “scientificizzare” l’idea che i videogiochi degli anni ’90 fossero migliori. Un’analisi passo per passo mostra perché non lo sono per definizione.

Andrea Tasinato 13 secondi fa Commenta! 12
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Videogiochi, che passione, eh? Di recente su Facebook e su Instagram gira uno strano post secondo cui i videogiochi anni 90 svilupperebbero meglio competenze cognitive rispetto ai giochi moderni.

Contenuti di questo articolo
Il presunto studio del presunto psicologo che gira su Facebook e InstagramSu instagram è forse peggioQuesto presunto psicologo di questo presunto studio esiste? Non proprio

Ma quanto c’è di vero in tutto questo? Ovviamente gran poco, ma è ora di andare ad analizzare con cura la cosa.

Il presunto studio del presunto psicologo che gira su Facebook e Instagram

Cominciamo con l’immagine pubblicata il 10 dicembre dalla pagina Facebook “lascimmiagioca”.

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Lo strano post social dei videogiochi anni 90 che sarebbero migliori secondo uno psicologo

Qui si parte da un presupposto sbagliato dal principio.

Il post tanto per cominciare sostiene delle cose che sono vere in alcuni casi anche in molti titoli di oggi. La cosa ironica è che solitamente queste pagine mettono il link sul loro sito: qui non c’è assolutamente nulla, né nel loro sito, né in altri. Non si cita il nome di nessuno presunto psicologo, né di nessun presunto studio.

Già da qui parte male il post.

Andiamo però con ordine sulle assunzioni che fa il post.

“I videogiochi invitavano a fallire e a riprovare“, stando a questa logica anche Fortnite andrebbe bene, perdere per poi riprovare a vincere, no? Stessa cosa per “insegnare l’abilità e a costruire pazienza e tolleranza“. Ottimo: metti allora un bambino davanti ad un Dark Souls e ne riparliamo.

“I giochi di oggi, tutorial passo passo“. FALSO. Già Tomb Raider 2 aveva una sezione tutorial, Thief: the Dark Project, 1998 aveva pure lui un tutorial, anche se non spiegava tutto.

Lo strano post social dei videogiochi anni 90 che sarebbero migliori secondo uno psicologo

“Non esistevano auto-salvataggi“, spesso sì, ma per limiti tecnici, non strutturalli. Ricordiamoci che oggi anche un software comune come Word ha un salvataggio automatico di backup, già dagli anni 2010. Il vero motivo era che spesso la potenza di calcolo non lo permetteva: tutto qui.

“I videogiochi di oggi hanno vite infinite“, peccato che il “non avere vite infinite” non fosse (solo) un vincolo tecnico degli arcade che avevano memoria limitata, ma gli stessi videogiochi da salagiochi erano studiati in questo modo appositamente, visto che la potenza di calcolo era minimale e servivano affinché il gestore del bar guadagnasse soldi tramite.

Come puoi notare il post parte già molto, ma molto male: completa ignoranza tecnica del software e dell’hardware dell’epoca.

Sia chiaro poi che sul discorso mentalità non sono necessariamente i videogiochi ad averla formata, ma anche il contesto socio-culturale dove i millennial sono cresciuti; pochissimi avevano accesso ad internet ed era molto ma molto diverso rispetto a quello attuale e non esistevano social media se non qualche forum qua e là, qualche rete BBS o al massimo IRC, solitamente non accessibili da chi era ragazzo o bambino all’epoca.

Su instagram è forse peggio

Su Instagram invece è forse addirittura peggio.

Lo strano post social dei videogiochi anni 90 che sarebbero migliori secondo uno psicologo

Sempre il 10 dicembre la pagina Focusmindset.it pubblica questo.

Qui è esattamente come sopra: “i bambini degli anni 90 pensano in modo diverso dalla generazione Z” e grazie tante, non è solamente la questione videogiochi, come già detto sono cresciuti in contesti socioculturali completamente diversi. I videogiochi c’entrano zero.

“I giochi con cui siete cresciuti hanno letteralmente riprogrammato il vostro cervello“, va bene e detta così però la frase è terribilmente fuorviante, poiché non è necessariamente positiva una frase così e va dar ragione ai detrattori dei videogiochi se malinterpretata.

Lo strano post social dei videogiochi anni 90 che sarebbero migliori secondo uno psicologo

Qui in generale c’è un fondo di verità, ma il post commette l’errore classico di mettere nello stesso calderone titoli estremamente diversi tra loro.

È vero che molti giochi tra gli anni ’80 e i primi ’90 richiedevano una maggiore memorizzazione interna di percorsi e schemi, ma questo avveniva soprattutto per limiti tecnici e di design, non per una presunta intenzionalità cognitiva.

I giochi moderni tendono invece a esternalizzare queste funzioni tramite interfacce di supporto (mappe, marker, GPS), spostando il carico cognitivo dalla memoria spaziale pura alla gestione di sistemi, decisioni e obiettivi complessi.

È vero che l’assenza di un “GPS costante” può stimolare maggiormente l’ippocampo; tuttavia va considerato che un open world contemporaneo, con mappe che superano facilmente i 40 km², risulterebbe eccessivamente dispersivo anche per chi possiede un ottimo senso dell’orientamento. In questo contesto, l’uso di strumenti di navigazione non è una semplificazione cognitiva, ma una scelta tecnica necessaria.

Inoltre, Tetris non rientra affatto nel discorso dell’orientamento visuo-spaziale esplorativo, trattandosi di un gioco basato su rotazione mentale e riconoscimento di pattern, non su navigazione o memoria ambientale.

Infine, va notato che già i primi GTA in 2D utilizzavano indicatori direzionali, mentre titoli moderni come Minecraft ne fanno a meno. Questo rende l’immagine ulteriormente fuorviante, poiché ignora differenze fondamentali di genere, scala e obiettivi di design.

Lo strano post social dei videogiochi anni 90 che sarebbero migliori secondo uno psicologo

Aspetta un attimo: qualche immagine fa ti lamentavi della mancanza di pazienza ed attenzione e adesso ti lamenti che c’è?

Già qui emergono le prime incoerenze dell’argomentazione del post.

Il problema di questa argomentazione è che confonde tre concetti distinti:
durata potenzialmente infinita, stimolazione continua e assenza di punti di arresto.

Un gioco può essere infinito senza essere compulsivo, così come può essere finito ma progettato per trattenere il giocatore il più a lungo possibile.

L’idea che i giochi del passato “obbligassero a fermarsi” è in larga parte un mito (basti pensare agli arcade da sala giochi)

Nei cabinati arcade la perdita non rappresentava una pausa riflessiva, ma un meccanismo economico pensato per spingere all’inserimento immediato di un’altra moneta.

Anche su console e home computer, il “game over” non impediva affatto di continuare: semplicemente costringeva a ricominciare, spesso incentivando sessioni più lunghe, non più brevi.

La testimonianza del genitore (presunto, anche qui nessun nome, nessuna fonte), pur comprensibile, non costituisce una prova generale.

La difficoltà di un bambino nel fermarsi non dipende esclusivamente dal videogioco, ma dal contesto educativo, dalle regole imposte e dal ruolo dell’adulto nel definire i limiti.

Attribuire ai videogiochi moderni la responsabilità della perdita di autocontrollo significa ignorare il ruolo delle scelte progettuali, del modello economico e soprattutto del contesto in cui i bambini crescono oggi, profondamente diverso da quello degli anni ’80 e ’90.

Lo strano post social dei videogiochi anni 90 che sarebbero migliori secondo uno psicologo

Anche qui ci sarebbe molto da ridere, in realtà: molti videogiocatori degli anni ’90 erano perfettamente solitari, e non tutti avevano gruppi di amici con cui condividere il divano.

Ma poi prima mi dici che certi titoli come Roblox o Fortnite non vanno bene che sono già “sociali”, ora mi tiri fuori i titoli multigiocatore offline?

L’argomentazione infatti si contraddice da sola: prima vengono criticati titoli come Fortnite o Roblox perché “troppo social”, poi si evocano i giochi multigiocatore offline come modello virtuoso di socialità.

Il problema, evidentemente, non è la socialità in sé, ma quale forma di socialità si vuole idealizzare a posteriori.

Lo strano post social dei videogiochi anni 90 che sarebbero migliori secondo uno psicologo

Contando che molto spesso mi sono capitati degli over 60-70 saltare impazientemente la fila avrei qualche dubbio; che poi la stessa identica cosa succede quando giochi d’azzardo eppure nessuno si sogna di dire “noi millennial/boomer” siamo migliori perché giochiamo al Gratta e Vinci.

Il problema di questa narrazione è che attribuisce ai videogiochi in quanto tali un meccanismo che in realtà appartiene ai modelli di ricompensa variabile, presenti da sempre anche in contesti non digitali.

Gratta e Vinci, slot machine, lotterie e scommesse sportive funzionano esattamente sugli stessi principi di rinforzo intermittente, e sono praticati prevalentemente da adulti cresciuti negli anni ’80 e ’90, non da bambini.

Se la “ricompensa immediata” producesse automaticamente individui meno pazienti o meno capaci di autocontrollo, sarebbe difficile spiegare perché proprio le generazioni che vengono idealizzate come più pazienti risultino oggi tra le più esposte a queste forme di stimolazione dopaminergica.

Questo non per colpevolizzare una generazione, ma per mostrare quanto sia fragile l’idea che la “pazienza” sia un tratto appreso automaticamente attraverso i videogiochi di un’epoca specifica.

Lo strano post social dei videogiochi anni 90 che sarebbero migliori secondo uno psicologo

Qui si stanno mettendo nello stesso calderone videogiochi profondamente diversi, confondendo il medium “videogioco” con un sottoinsieme ben preciso: i videogiochi live service.

La realtà è che, in questo caso, non si sta parlando di videogiochi in generale, ma di videogiochi live service, progettati attorno a sistemi di retention come battle pass, ricompense giornaliere e FOMO.

Una parte consistente dei videogiochi oggi in commercio segue ancora uno schema classico: inizio, sviluppo e fine, pur adottando interfacce e comodità moderne. Titoli come Cyberpunk 2077 o Hollow Knight non rientrano affatto in questa logica.

Va inoltre precisato che la presenza di pubblicità e notifiche intrusive riguarda soprattutto alcuni titoli specifici, spesso in ambito mobile o free-to-play, e non rappresenta una caratteristica strutturale del videogioco moderno nel suo complesso.

Questo presunto psicologo di questo presunto studio esiste? Non proprio

Ovviamente non si trova nulla che dica “i videogiochi anni 90 erano miglior e ci hanno resi persone migliori” perché qui siamo sullo stesso piano del famoso presunto studio del “i ragazzi degli anni 70/80 hanno vissuto la gioventù migliore, lo dicono gli scienziati” (gli scienziati? Chi quale studio? Di che ente? Ovviamente non viene mai citato).

L’unica cosa che ho trovato che può avvicinarsi molto a quanto detto da questi post è questa.

Lo strano post social dei videogiochi anni 90 che sarebbero migliori secondo uno psicologo

Questo video di La Repubblica è stato pubblicato il 25 luglio 2023 ed è l’unica cosa che si avvicini a quello che dicono questi post, ma non c’è nessuna manfrina del “eravamo meglio noi”.

Lo psicologo Giuseppe Lavenia però non dice “meglio i giochi di una volta”, ma dice “leggete il PEGI e siate selettivi sui titoli“. Che è ben diverso dal “era meglio una volta”.

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