La scoperta del vaccino ha rivoluzionato la sanità negli ultimi due secoli, dimostrandosi uno strumento fondamentale nella prevenzione delle malattie infettive. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che ogni anno tra i 3 e i 5 milioni di vite vengano salvate grazie alle vaccinazioni contro patologie come difterite, tetano, influenza, morbillo e COVID-19.

Nuove frontiere della ricerca: vaccino e disturbi neurodegenerativi
Anche se la loro efficacia nella prevenzione delle infezioni è ampiamente consolidata, nuove ricerche stanno esplorando un potenziale impatto terapeutico dei vaccini che va oltre la semplice protezione dalle malattie infettive. Un recente studio ha aperto un nuovo orizzonte, fornendo prove che il vaccino contro l’herpes zoster, comunemente noto come fuoco di Sant’Antonio, potrebbe ridurre il rischio di demenza nella popolazione generale fino al 20%. Questa scoperta potrebbe aprire la strada a ulteriori indagini per comprendere e trattare non solo la demenza, ma anche altri disturbi degenerativi del cervello.
Una delle maggiori difficoltà nel condurre studi sugli effetti dei vaccini è l’impossibilità etica di creare un gruppo di controllo non vaccinato. Non è etico, infatti, privare una parte dei pazienti della protezione di un vaccino per una malattia come l’herpes zoster.

Per aggirare questo ostacolo, lo studio ha sfruttato un cambiamento normativo avvenuto in Galles nel 2013, che offriva la vaccinazione contro l’herpes zoster solo alle persone nate dal 2 settembre 1933 in poi. Questa politica ha permesso ai ricercatori di confrontare un gruppo vaccinato (i nati dopo la data limite) con un gruppo di controllo non vaccinato (i nati prima della stessa data) in modo eticamente accettabile e scientificamente valido.
Il vaccino contro l’herpes zoster e la demenza: un legame inaspettato
Un recente studio ha utilizzato un cambio di politica sanitaria in Galles come un “laboratorio naturale” per indagare gli effetti a lungo termine del vaccino contro l’herpes zoster. Questo vaccino è stato originariamente sviluppato per prevenire il fuoco di Sant’Antonio, una dolorosa malattia causata dalla riattivazione dello stesso virus della varicella. Analizzando in modo sofisticato le cartelle cliniche, i ricercatori hanno scoperto che il vaccino ha ridotto di un quinto il rischio di sviluppare demenza in un periodo di sette anni. Le donne hanno mostrato un beneficio maggiore rispetto agli uomini. Questo design di studio ha permesso di confrontare due gruppi con età e comorbilità simili, come diabete o ipertensione, senza privare nessuno della vaccinazione.
I risultati di questo studio e di altre ricerche simili suggeriscono che i vaccini potrebbero avere un ruolo terapeutico più ampio al di là delle sole malattie infettive. Il legame tra il vaccino contro l’herpes zoster e la riduzione della demenza solleva interrogativi affascinanti sul funzionamento del nostro sistema immunitario. Una possibile spiegazione è che il vaccino offra una protezione diretta, impedendo al virus dell’herpes zoster di esacerbare la demenza. Un’altra ipotesi è che il vaccino rinforzi il sistema immunitario attraverso una “immunità addestrata”, rendendolo più efficace nel contrastare altre minacce.

È importante notare che lo studio non ha distinto tra i diversi tipi di demenza, come quella legata all’Alzheimer o agli ictus, e non può trarre conclusioni definitive sui meccanismi di protezione basandosi solo sull’analisi delle cartelle cliniche. Per confermare questi risultati e comprendere meglio i meccanismi sottostanti, il prossimo passo sarà condurre uno studio clinico prospettico, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, considerato il “gold standard” della ricerca medica. Solo dopo studi di questo tipo, sarà possibile raccomandare l’uso di un vaccino per la prevenzione clinica della demenza.
Il crescente onere globale della demenza
La demenza è una delle principali cause di morte a livello mondiale e una delle malattie non trasmissibili più diffuse. Un recente studio del gennaio 2025 ha evidenziato un aumento significativo delle stime sul rischio di demenza, calcolando un rischio a vita del 42% per le persone con più di 55 anni, un dato che raddoppia le stime precedenti. I ricercatori prevedono che il numero di nuovi casi negli Stati Uniti raddoppierà entro il 2060, passando da 514.000 a 1 milione. Anche se l’Alzheimer è la forma più comune, i suoi effetti si stanno diffondendo in tutto il mondo a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita.
Per decenni, l’ipotesi amiloide ha dominato la ricerca sull’Alzheimer, concentrando gli sforzi terapeutici sulla riduzione della proteina amiloide nel cervello. Tuttavia, i risultati sono stati deludenti. Le terapie approvate di recente hanno mostrato un impatto minimo nel rallentare il declino cognitivo, sono costose e presentano effetti collaterali gravi. Al momento, nessun farmaco è in grado di invertire il declino cognitivo. Questo fallimento ha spinto la comunità scientifica a esplorare percorsi meno convenzionali.

Studi basati su cartelle cliniche suggeriscono una nuova e affascinante direzione: i virus potrebbero aumentare il rischio di demenza, mentre i vaccini di routine (come quelli per tetano, difterite, pertosse, polmonite ed herpes zoster) sembrano ridurlo.
Questo approccio sfida la tendenza degli scienziati ad aderire a modelli di malattia consolidati. Il processo scientifico, tuttavia, ci insegna a restare umili e a seguire i dati, anche quando ci portano su strade inaspettate. L’idea che i vaccini possano avere un ruolo nella prevenzione delle malattie neurodegenerative è un’ipotesi entusiasmante che potrebbe aprire la strada a scoperte rivoluzionarie. Per questo, futuri studi dovrebbero concentrarsi su popolazioni con specifici tipi di demenza, poiché ogni forma potrebbe richiedere un trattamento diverso.
Lo studio è stato pubblicato su Nature.