Scienziati provenienti dalla Cina, dal Regno Unito e dagli Stati Uniti hanno collaborato per analizzare il funzionamento interno del vulcano “zombie” della Bolivia, l’Uturuncu; combinando sismologia, modelli fisici e analisi della composizione delle rocce, i ricercatori hanno identificato le cause dell’attività anomala dell’Uturuncu, riducendo i timori di un’eruzione imminente. I risultati sono stati pubblicati oggi (28 aprile) sulla rivista PNAS.
Uturuncu: il vulcano “zombie” della Bolivia
Nel cuore delle Ande centrali si trova l’Uturuncu, il “vulcano zombie” della Bolivia, così chiamato perché, nonostante sia tecnicamente “morto” (l’ultima eruzione risale a 250.000 anni fa), mostra ancora segni di attività, tra cui terremoti ed emissioni di gas e questa instabilità si manifesta con un pattern di deformazione a “sombrero”, dove il terreno al centro del sistema vulcanico si solleva, mentre le aree circostanti si abbassano.
Per la popolazione locale è di vitale importanza valutare la possibilità e la gravità di un’eruzione dell’Uturuncu, che potrebbe causare gravi danni e mettere in pericolo la vita; fino ad ora, non esisteva una spiegazione per questa continua attività vulcanica; gli scienziati ritenevano che la chiave per comprendere il fenomeno fosse visualizzare il modo in cui magma e gas si muovono sotto il vulcano.
Questo nuovo studio, condotto da esperti della University of Science and Technology of China, dell’Università di Oxford e della Cornell University, ha utilizzato i segnali rilevati da oltre 1.700 eventi sismici per creare un’immagine ad alta risoluzione del sistema di “tubature” nella crosta superficiale sotto l’Uturuncu e secondo i risultati, l’instabilità in stile “zombie” dell’Uturuncu è dovuta al movimento di liquidi e gas sotto il cratere, con una bassa probabilità di un’eruzione imminente.

I sistemi di alimentazione vulcanica sono un complesso insieme di fluidi e gas presenti nei serbatoi magmatici e nei sistemi idrotermali. Studi precedenti avevano mostrato che l’Uturuncu si trova sopra il più grande corpo magmatico conosciuto nella crosta terrestre, il Complesso Vulcanico Altiplano-Puna, e che un sistema idrotermale attivo collega questa massa alla superficie. Ma non era chiaro come i fluidi si muovessero attraverso questo sistema sotterraneo.
Il rischio reale delle eruzioni del vulcano “zombie”
Il team di ricerca ha utilizzato la tomografia sismica, un metodo per ottenere immagini dell’interno del vulcano simile a quelli impiegati per l’imaging medico del corpo umano e le onde sismiche viaggiano a velocità diverse a seconda del materiale attraversato, offrendo così una visione tridimensionale ad alta risoluzione del funzionamento interno dell’Uturuncu.
A questo si è aggiunta l’analisi delle proprietà fisiche del sistema, inclusa la composizione delle rocce, per comprendere meglio il sistema vulcanico sotterraneo e questa analisi dettagliata ha individuato possibili percorsi di risalita dei fluidi riscaldati geotermicamente e ha mostrato come liquidi e gas si accumulano in serbatoi direttamente sotto il cratere del vulcano.

Il team ritiene che questa sia la causa più probabile della deformazione osservata al centro del sistema vulcanico e che il rischio di una vera eruzione sia basso.
Il coautore Professor Mike Kendall (Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Oxford) ha dichiarato:
“Sono molto felice di aver partecipato a questa collaborazione veramente internazionale. I nostri risultati mostrano come metodi geofisici e geologici combinati possano essere utilizzati per comprendere meglio i vulcani, i pericoli e le potenziali risorse che rappresentano.”

Altri vulcani “zombie?”
Il coautore Professor Haijiang Zhang (Scuola di Scienze della Terra e dello Spazio, University of Science and Technology of China) ha affermato:
“Comprendere l’anatomia del sistema vulcanico dell’Uturuncu è stato possibile solo grazie alle competenze presenti nel team di ricerca. Questo ci ha permesso di combinare vari strumenti avanzati di imaging geofisico con la modellazione delle proprietà delle rocce e delle loro interazioni con i fluidi.“
Il coautore Professor Matthew Pritchard (Cornell University) ha aggiunto: “I metodi descritti in questo studio potrebbero essere applicati a oltre 1400 vulcani potenzialmente attivi, nonché a decine di vulcani come l’Uturuncu che non sono considerati attivi ma mostrano segni di vitalità [cioè] altri potenziali vulcani zombie.”
Il team di ricerca spera che studi simili, basati sull’analisi congiunta delle proprietà sismologiche e petrologiche, possano essere utilizzati per osservare l’anatomia di altri sistemi vulcanici in futuro.