All’alba dell’estate 2025, United Launch Alliance (ULA) si trova a vivere un momento cruciale nella propria storia, sospeso tra l’eredità delle sue piattaforme consolidate e l’emergere di un futuro da disegnare.
Solo qualche tempo fa, era lecito attendersi un 2025 stravagante dal punto di vista numerico: fino a venti lanci in un anno, oggi, tuttavia, il conteggio si è assestato attorno a nove missioni previste, una riduzione significativa rispetto alle aspettative precedenti.

Per comprendere la ragione di questa flessione, bisogna addentrarsi nella natura di questo cambio di rotta, infatti ULA sta innescando una trasformazione strutturale: il propulsore d’eccellenza Atlas V è destinato a lasciare il campo, mentre il nuovo protagonista, Vulcan Centaur, si prepara a entrare in scena a pieno regime. Questo passaggio non è indolore: i ritardi nella certificazione e l’incidente che ha coinvolto un propulsore solido, precipitato durante un volo, hanno imposto una pausa strategica per risolvere problemi e rimettersi in carreggiata.
Ciononostante, non si tratta affatto di una frenata definitiva, al contrario, si intravvede una forte volontà di rilancio: nel 2026, ULA mira a far segnare un ritmo di venti‑venticinque lanci annui, un’impennata che segnerebbe il ritorno a una notevole ambizione operativ
Dietro questa pausa c’è una volontà strategica, Mr. Tory Bruno, CEO di ULA, spiega come il ritardo sia dovuto a una serie di variabili sincrone, il problema con il propulsore, la difficoltà di coordinare le consegne dei payload dei clienti, e la congestione dell’intervallo di lancio di Cape Canaveral, molto trafficato in questo periodo con attività militari e test operativi
Il salto verso il 2026 di ULA
Questa battuta d’arresto non è un inciampo, ma un “tempo tecnico”, infatti la trasformazione infrastrutturale in atto testimonia una chiara determinazione a tornare in grande stile, infatti la compagnia sta costruendo una seconda struttura di integrazione verticale in Florida — una sorta di doppia linea di montaggio per Vulcan Centaur — e sta convertendo la piattaforma Vandenberg (SLC‑3) per supportare il nuovo vettore, ampliando così le proprie capacità operative su due coste americane.
Date queste premesse, il piano è esplosivo, arrivare entro la fine del 2025 a un ritmo di due lanci al mese, cominciando così a imprimere un ritmo sostenuto che, nel 2026, potrebbe diventare ordinario.

Lavorare nel settore spaziale oggi significa muoversi in un mercato imprevedibile e sempre più competitivo, e al loro fianco oggi si stagliano nomi come SpaceX e Blue Origin, e nel contesto del programma del National Security Space Launch, ULA ha ottenuto un contratto da 5,3 miliardi di dollari per 19 missioni, nel quadro di un pacchetto più ampio che vede SpaceX con 28 missioni e Blue Origin con 7.
Ecco farsi chiaro un quadro complesso dove l’azienda non deve non solo gestire la transizione tra generazioni di razzi, ma anche riaffermarsi nel campo militare e governativo, rafforzando fiducia e puntualità nei ritmi di volo.
Immagina ULA come un atleta veterano, che dopo aver dominato le competizioni per anni — pilota affidabile che ha plasmato le orbite di decine di satelliti — ora si trova a dover ricostruire i muscoli per affrontare un nuovo ciclo. Il passaggio dal collaudato Atlas V a Vulcan Centaur non è solo tecnico ma è un segnale, un’impronta di modernità e ambizione.
La previsione di nove lanci per il 2025 — sebbene ben al di sotto delle speranze iniziali — diventa in questa luce un passo pragmatico, misurato e strategico; un momento per mettere a punto sistemi, rafforzare infrastrutture e creare fiducia.
Il Vulcan Centaur: molto più di un razzo
Nel cuore della strategia di rilancio di ULA c’è un nome che ricorre come un mantra tecnologico: Vulcan Centaur, il veicolo di lancio che, nelle intenzioni dell’azienda, rappresenta non solo il successore dell’Atlas V e del Delta IV, ma anche la dichiarazione di esistenza in vita di un’azienda storica che non vuole restare schiacciata dal dinamismo della nuova space economy.
Vulcan non è nato in fretta, per l’appunto il suo sviluppo ha richiesto anni di ingegnerizzazione, test, revisioni strutturali e adattamenti politici, ma il suo significato va ben oltre l’aspetto tecnico: è, in un certo senso, l’ultima occasione di ULA per restare al centro della scena.

L’approccio con cui Vulcan è stato concepito punta a coniugare flessibilità, affidabilità e costi competitivi, il motore principale, il BE-4 di Blue Origin, è stato uno degli elementi più discussi e problematici del programma, infatti è stato soggetto a numerosi ritardi e revisioni, costringendo l’azienda a rivedere più volte il calendario delle missioni.
D’altro canto, la sua adozione è anche un segnale chiaro dell’evoluzione in atto, un’apertura a collaborazioni più dinamiche, una volontà di rompere con la tradizione iper-controllata del passato, che faceva della ridondanza e della sicurezza a ogni costo il proprio mantra.
Nel primo lancio di Vulcan, effettuato a inizio 2024, si è potuto osservare da vicino il potenziale di questa nuova generazione di vettori, con il decollo che è avvenuto senza incidenti, e la missione primaria — il rilascio della capsula lunare Peregrine, sviluppata da Astrobotic — ha mostrato il buon livello di integrazione raggiunto.
Anche se la missione ha avuto esiti parzialmente negativi per il payload (a causa di un’anomalia interna al lander e non al razzo), Vulcan ha dimostrato di saper gestire carichi complessi, orbite diversificate e una nuova architettura propulsiva.
Ciò che rende affascinante la parabola di ULA non è soltanto il suo sforzo tecnologico, ma il contesto in cui questo sforzo si svolge, come detto in precedenza, siamo in un’epoca in cui la corsa allo spazio non è più solo una questione di esplorazione o difesa nazionale, ma anche — e soprattutto — una sfida economica. Il tempo, in questo mercato, è diventato una risorsa tanto importante quanto il propellente.

Per questo motivo, la capacità di ULA di accelerare la frequenza dei voli sarà determinante, se davvero, come annunciato, l’azienda riuscirà a stabilire un ritmo di due lanci al mese entro la fine del 2025, ciò significherà aver raggiunto una maturità industriale simile a quella di SpaceX, e avrà dimostrato che la scelta di prendersi un anno “di pausa costruttiva” non è stata un segno di debolezza, ma di lungimiranza.
Naturalmente, tutto dipenderà da una catena di fattori interdipendenti: la puntualità delle consegne dei payload, l’affidabilità dei motori, l’efficienza delle nuove linee di assemblaggio, la cooperazione tra i fornitori, il coordinamento con le autorità federali, ma soprattutto, dipenderà da quanto l’azienda saprà adattarsi a un mondo in cui la rapidità di esecuzione è diventata la nuova misura dell’efficienza.
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