Ricercatori presso il Johns Hopkins Kimmel Cancer Center e il Dipartimento di radioterapia e scienze delle radiazioni molecolari hanno annunciato una scoperta rivoluzionaria che potrebbe ridefinire l’approccio al trattamento dei tumori resistenti. Il loro recente studio ha rivelato che intervenire su un processo cruciale nella produzione proteica delle cellule può non solo inibire la crescita delle cellule tumorali, ma anche affrontare la loro intrinseca sensibilità. Questi risultati aprono prospettive promettenti per lo sviluppo di nuove terapie mirate a tumori caratterizzati da mutazioni genetiche comuni.

Tumori resistenti: inibizione di Pol 1 e riprogrammazione dello splicing
La ricerca ha dimostrato che l’applicazione di un farmaco specifico per inibire l’RNA Polimerasi 1 (Pol 1), l’enzima responsabile della trascrizione dell’RNA ribosomiale (rRNA) umano, innesca una risposta allo stress cellulare del tutto peculiare. Questa risposta riprogramma lo splicing, ovvero il meccanismo attraverso cui le cellule tumorali generano diverse isoforme proteiche, culminando in una significativa soppressione della crescita tumorale. I geni dell’RNA ribosomiale sono notoriamente essenziali per la formazione dei ribosomi, le “fabbriche” molecolari deputate alla traduzione delle proteine.
La dottoressa Marikki Laiho, MD, Ph.D., Professoressa di Radioterapia Willard and Lillian Hackerman e Vicepresidente per la Ricerca del Dipartimento di Radioterapia e Scienze delle Radiazioni Molecolari e responsabile dello studio, sottolinea che “la biogenesi dei ribosomi è da tempo riconosciuta come un segno distintivo del cancro”. Ha inoltre aggiunto che la loro indagine ha rivelato un ruolo inaspettato per la proteina ribosomiale RPL22. Sebbene sia tipicamente considerata un mero componente strutturale del ribosoma, RPL22 svolge in realtà un duplice ruolo di regolatore critico dello splicing dell’RNA.

Già nel 2014, la dottoressa Laiho e il suo team avevano identificato Pol 1 come un bersaglio terapeutico di grande rilevanza nei contesti oncologici. Successivamente, ha avviato studi di laboratorio su linee cellulari umane, esplorando l’efficacia di una piccola molecola denominata BMH-21. Questa molecola, sviluppata in collaborazione con il dottor James Barrow, esperto di farmacologia e scienze molecolari presso la Johns Hopkins University, è stata specificamente concepita per inibire l’attività di Pol 1.
Sensibilità ai farmaci e potenziali nuove terapie per i tumori resistenti
Nel loro più recente e approfondito studio, la dottoressa Laiho e il suo team hanno esaminato un vasto campione di oltre 300 linee cellulari tumorali. Le loro analisi hanno portato a una scoperta cruciale: i tumori che presentano mutazioni nella proteina RPL22 o che mostrano livelli elevati di MDM4 e RPL22L1 si sono rivelati particolarmente vulnerabili agli inibitori della RNA Polimerasi 1 (Pol 1). Tra questi inibitori, sono stati testati con successo il composto BMH-21 e un nuovo farmaco denominato BOB-42.
Queste alterazioni genetiche sono comunemente riscontrabili in un tipo specifico di neoplasie note come tumori con deficit di riparazione dei mismatch (MMRd). Questa categoria include frequenti tumori come quelli del colon-retto, dello stomaco e dell’utero. Il deficit di riparazione dei mismatch è una condizione che compromette la capacità delle cellule di correggere gli errori che si verificano durante la copiatura del DNA e la divisione cellulare.

Il risultato è un accumulo di mutazioni aggiuntive nel genoma, che a sua volta aumenta significativamente il rischio di sviluppare il cancro. La sensibilità di questi tumori agli inibitori della Pol 1 suggerisce un’opportunità terapeutica mirata per una categoria di malattie oncologiche con esigenze di trattamento insoddisfatte.
Il team di ricerca ha proseguito testando l’inibitore della Pol 1 BOB-42 su modelli animali, compresi tumori derivati direttamente da pazienti umani che presentavano gli stessi marcatori genetici chiave individuati negli studi in vitro. I risultati di questi esperimenti preclinici sono stati estremamente incoraggianti: il farmaco ha dimostrato una notevole capacità di ridurre la crescita tumorale, con una diminuzione fino al 77% in casi di melanoma e tumori del colon-retto. Questo dato evidenzia l’efficacia potenziale di BOB-42 come nuova opzione terapeutica.
Come sottolineato dal primo autore dello studio, il dottor Wenjun Fan, ricercatore associato, “Questi risultati evidenziano un nuovo promettente percorso per colpire i tumori, in particolare per i pazienti affetti da tumori con deficit di riparazione dei mismatch e resistenti alle terapie esistenti”. La scoperta apre dunque la strada a strategie di trattamento innovative e mirate per pazienti che finora disponevano di opzioni terapeutiche limitate.
Nuove prospettive: RNA e risposta immunitaria nei tumori
Lo studio appena descritto suggerisce una connessione innovativa e cruciale: alterare il modo in cui le cellule tumorali frammentano l’RNA, o producono diverse forme di proteine, potrebbe influenzare direttamente il modo in cui il sistema immunitario riconosce e attacca i tumori. Questa intuizione apre la strada a strategie terapeutiche avanzate, suggerendo che la combinazione di immunoterapie con inibitori della RNA Polimerasi 1 (Pol 1) potrebbe significativamente migliorarne l’efficacia.

La dottoressa Marikki Laiho, figura chiave di questa ricerca, sottolinea l’importanza di questa scoperta affermando: “Si tratta di un quadro concettuale completamente nuovo per comprendere come la sintesi di rRNA influenzi il comportamento delle cellule tumorali”. La sua affermazione evidenzia come la regolazione di questo processo fondamentale non sia solo legata alla crescita neoplastica, ma possa anche agire come un modulatore dell’antigenicità tumorale.
In altre parole, intervenire su questa via potrebbe non solo sopprimere la proliferazione del tumore, ma anche rendere le cellule cancerose più “visibili” e quindi più vulnerabili all’attacco da parte delle difese immunitarie dell’organismo. Questa doppia azione rappresenta una prospettiva entusiasmante per il futuro della terapia oncologica, offrendo la possibilità di potenziare le risposte alle immunoterapie esistenti e di sviluppare trattamenti ancora più mirati ed efficaci.
Lo studio è stato pubblicato su Cell Chemical Biology.