Il tumore è una delle malattie più comuni e debilitanti del XXI secolo. Migliaia di ricercatori di tutto il mondo concentrano i propri studi proprio su questo gruppo di patologie. Trovare una cura specifica, definitiva e che elimini il rischio di recidive rappresenta un’opera ostica per diversi motivi:
- questa malattia degenerativa si origina da cellule dell’organismo stesso, rendendo difficile l’individuazione esclusiva;
- esistono tantissime tipologie di cancro;
- le cellule tumorali sono soggette a mutazione genica repentina, aumentando il rischio di inefficienza della cura.
Un nuovo studio suggerisce un approccio totalmente innovativo rispetto a quelli utilizzati finora, che potrebbe dare una svolta nella lotta ai tumori.
Tumore: una macchina biologica quasi perfetta
Tutte le patologie derivanti da una proliferazione cellulare incontrollata vengono classificate come tumori. La divisione inarrestabile delle cellule maligne deriva da una mutazione genetica, ereditata o dovuta ad agenti esterni, che le rende delle macchine biologiche perfette o quasi.
Infatti, tutte le cellule degli organismi pluricellulari non sono in grado di dividersi all’infinito, a causa di particolari sequenze di DNA, i telomeri, responsabili dell’invecchiamento cellulare. Le cellule tumorali, invece, sono capaci di effettuare potenzialmente infinite mitosi e originare in tal modo migliaia e migliaia di cellule maligne.
Questa apparente perfezione è basata su un meccanismo metabolico molto meno produttivo rispetto a quello delle cellule sane, scoperto da Otto Heinrich Warburg agli inizi del secolo scorso e per tale motivo chiamato effetto Warburg.
Cos’è l’effetto Warburg?
Tutte le cellule umane utilizzano come carburante per i propri processi funzionali la molecola di ATP, prodotta mediante la combustione del glucosio. Questa reazione necessita dell’ossigeno per poter avvenire. In condizioni aerobiche la cellula produce, attraverso la respirazione cellulare, 38 molecole di ATP. Al contrario, in condizioni anaerobiche, viene adottato un altro meccanismo, meno efficiente, ma che permette alla cellula di non rimanere completamente a digiuno: la glicolisi, la quale porta alla formazione di sole 2 molecole di ATP.
Nelle cellule tumorali la produzione di molecole di ATP in presenza di ossigeno non deriva esclusivamente dalla respirazione cellulare, ma, in gran parte, anche dalla glicolisi. Quest’ultima viene, quindi, detta glicolisi aerobica o effetto Warburg.
Il motivo per il quale delle cellule così “efficienti” adottino un metabolismo poco produttivo è ancora poco chiaro, ma questa caratteristica potrebbe essere alla base dell’esito positivo della ricerca.
Il freddo inibisce la crescita tumorale: lo studio
Le cure finora utilizzate sono tutte dirette, ovvero coinvolgono il tessuto interessato dalla proliferazione anomala o i meccanismi alla base del tumore da combattere. La soluzione definitiva potrebbe però essere associata a un approccio indiretto, che preveda l’attivazione di altri tessuti non implicati nella patologia, come suggerisce la recente ricerca.
Ai fini dell’esperimento sono stati analizzati topi con diversi tipi di tumori solidi, tra cui melanoma, cancro al seno e al fegato sia in condizioni di temperatura normale che a 4°C. Le analisi sono state effettuate con PET-TC, uno strumento diagnostico in grado di individuare la presenza di tumori, grazie alla rilevazione di elevata attività metabolica, tipica delle cellule maligne.
I risultati sono stati sorprendenti: negli organismi in condizioni di basse temperature l’attività metabolica e, dunque, la proliferazione cellulare era del tutto assente nei tessuti tumorali, al contrario di quanto osservato nei topi di controllo.
La PET-TC ha rilevato, inoltre, nei topi sottoposti a freddo, un alto tasso di attività metabolica nelle cellule del tessuto adiposo bruno, deputato alla termogenesi senza brividi, ovvero il fenomeno per il quale gli organismi a sangue caldo riescono a mantenere costante la propria temperatura corporea, anche quando quella esterna è molto bassa.
Questi risultati hanno condotto gli scienziati a ipotizzare che il responsabile dell’attenuazione della crescita del tumore fosse proprio il tessuto adiposo bruno. Per tale motivo hanno deciso di approfondire, sottoponendo i topi all’esportazione del tessuto prima di ripetere l’esperimento. Privi di cellule di grasso bruno, gli organismi in condizioni termoneutre e quelli in condizioni di bassa temperatura non hanno mostrato alcuna differenza, confermando l’ipotesi iniziale.
Il tessuto adiposo bruno affama le cellule tumorali: ecco perché
Proprio come il tessuto tumorale, anche le cellule di grasso bruno sono golose di glucosio, indispensabile affinché la termogenesi senza brividi possa avvenire. Evidentemente, il tessuto adiposo bruno possiede un metabolismo più efficiente delle cellule tumorali in condizioni aerobiche, privando queste ultime del glucosio in circolo attraverso il sangue.
A conferma di ciò, è stato visto che una dieta iperglicemica è in grado di ripristinare i tassi di crescita del tumore nei topi sottoposti al freddo.
Tumore vs grasso bruno: i risultati nell’uomo
Considerati i risultati ottenuti su modelli sperimentali di topo, i ricercatori hanno voluto testare l’efficienza anche in uomo. Sono stati, quindi, sottoposti sei volontari completamente sani a una temperatura ambientale di 16°C per una durata massima di 6 ore al giorno per 14 giorni e successivamente analizzati con PET-TC. L’esame diagnostico ha evidenziato l’attivazione delle cellule di grasso bruno, confermando quanto visto nei topi.
Infine, è stato analizzato anche un paziente di 18 anni affetto da linfoma di Hodgkin esposto a una temperatura di 22°C per una settimana. Il risultato fa ben sperare per la cura dei tumori in futuro: anche in questo caso, la proliferazione cellulare è risultata bloccata, in concomitanza con l’attivazione del tessuto adiposo bruno.
I dati su umano sono ancora troppo esigui per poter avere una valenza diagnostica e si spera che in futuro possa essere approfondito maggiormente l’argomento.
Studi pregressi hanno, inoltre, individuato altri stimoli esterni in grado di attivare il tessuto adiposo bruno, come la caffeina. Chissà se fra qualche anno sarà disponibile una nuova cura farmacologica basata proprio su molecole come questa, al fine di bloccare l’espansione tumorale o di prevenire la comparsa di recidive in persone che sono state precedentemente colpite da questa malattia.