Si aprono nuove indagini diagnostiche per combattere l’AIDS: il test rapido HIV che valuta la carica virale nei bambini. La nuova scoperta potrebbe essere molto utile specialmente nei paesi più poveri, dove l’HIV miete ancora migliaia di vittime.
Test rapido HIV: come funziona
La paternità del nuovo test appartiene ai ricercatori dell’ospedale Bambin Gesù di Roma e lo studio è stato pubblicato sulla rivista The Lancet HIV.
Il test sarà in grado di di individuare la “quota” di virus in grado di persistere all’interno delle cellule anche successivamente alla terapia antiretrovirale. Grazie a questa verifica, sarà possibile valutare terapie più adeguate e permettere ai bambini positivi all’hiv di essere inseriti in terapie sperimentali, con lo scopo di debellare definitivamente il virus.
Purtroppo però, ad oggi, l’utilizzo del test rapido HIV è stato marginale, specialmente nei paesi in via di sviluppo. La causa principale risiede nei costi da sostenere, a cui si accompagna la quantità di sangue che queste analisi richiedono e le difficoltà logistiche dovute al fatto che queste zone non hanno i presidi medici necessari affinché il test possa essere utilizzato.
Per essere più chiari, è necessario che, dopo il prelievo di sangue, si susseguano diversi passaggi in laboratorio per isolare le componenti ematiche, lavorarle e analizzare i risultati con complessi software bio-informatici. Per avere l’esito degli esami, bisogna attendere qualche giorno.
Con il nuovo test sviluppato dall’equipe di immunoinfettivologia del Bambin Gesù, invece, la risposta sarà quasi immediata: Il kit è composto da una piccola striscia (o stick) di plastica rigida, su cui sono apposte determinate sostanze di reazione, simili a quelle usate per il monitoraggio domestico. La striscia è numerata da 0 (minima carica virale residua) a 10 (quella massima). È sufficiente una goccia di sangue del paziente e, in pochi minuti, le tacche corrispondenti alla carica virale rilevata si colorano.
Durante la sperimentazione, condotta su 330 bambini infettati dalle madri, il test è stato in grado di sondare la carica virale residua in oltre il 95% dei casi.
Paolo Palma, responsabile dell’unità di ricerca in infezioni congenite e perinatali del Bambin Gesù, spiega: “Questa nuova strategia di screening rappresenta un’importante innovazione per definire quali bambini arruolare in protocolli per la cura dell’HIV-1. Come, per esempio, il vaccino terapeutico pediatrico messo a punto in collaborazione col Karolinska Instituet di Stoccolma. I risultati permettono infatti di ricostruire la storia clinica dei singoli pazienti che spesso, nei Paesi in via di sviluppo o molto poveri, non posseggono una vera e propria cartella clinica”.