Immagina di poter sapere se avrai un tumore tre anni prima che i medici possano rilevarlo con i metodi tradizionali. Sembra uno di quei sogni futuristici, e invece sta accadendo davvero. I ricercatori della Johns Hopkins University hanno appena pubblicato uno studio che potrebbe rivoluzionare la diagnosi del cancro, grazie a un test precoce del cancro nel sangue capace di identificare tracce della malattia molto prima dei sintomi o delle immagini radiologiche.
Come funziona questo test miracoloso?
Niente raggi X, niente biopsie invasive. Solo un prelievo del sangue. Gli scienziati hanno scoperto che i tumori rilasciano materiale genetico nel sangue anche quando sono ancora in fase iniziale. Utilizzando tecniche avanzatissime di sequenziamento genetico, il team ha analizzato campioni di plasma prelevati anni prima della diagnosi ufficiale in soggetti sani.
Risultato? In 8 casi su 26, il test precoce del cancro nel sangue ha intercettato la presenza della malattia con largo anticipo, individuando persino mutazioni tumorali.
Tre anni di vantaggio: una finestra preziosa

“Tre anni prima significa avere il tempo di intervenire”, ha spiegato Yuxuan Wang, oncologo alla Johns Hopkins. Ed è qui che il gioco si fa serio: agire prima che il cancro diventi aggressivo può fare la differenza tra curabile e incurabile. In altre parole: potremmo parlare di prevenzione vera, non solo di diagnosi precoce.
Ma è tutto oro quel che luccica?
Non proprio. La tecnologia c’è, il potenziale pure, ma restano diversi dubbi. Come si procede dopo un test positivo, se non ci sono ancora sintomi o masse visibili? Le cure attuali sono pensate per tumori più avanzati, e bisognerà rivedere i protocolli da cima a fondo. Inoltre, c’è da capire quali tipi di cancro questo test riesce davvero a intercettare, e con quale precisione.
Attenzione alla spinta commerciale
Il rischio? Che la corsa all’adozione di questi test si faccia troppo in fretta, senza prove sufficienti che riducano davvero la mortalità. Lo ricorda anche l’epidemiologa dell’OMS Hilary Robbins: “Interventi così ampi devono essere caratterizzati benissimo, e i benefici devono essere dimostrati prima di essere diffusi”.
E ha ragione. Perché fare test su milioni di persone sane, senza sapere bene cosa farne dei risultati, può creare più ansia che vantaggi.
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