I terremoti sono da sempre fonte di inquietudine per l’uomo, non solo a livello fisico, ma anche psicologico.
Il primo gennaio 2024, un violento terremoto di magnitudo 7.5 ha colpito la Penisola di Noto, in Giappone, ma quello che non tutti sanno è che i suoi effetti non si sono fermati al suolo: hanno raggiunto anche l’atmosfera superiore, causando perturbazioni ionosferiche in grado di interferire con satelliti, comunicazioni GPS e sistemi di navigazione.
Ora, un team di scienziati dell’Università di Nagoya ha ottenuto qualcosa di straordinario: la prima ricostruzione 3D in tempo quasi reale di queste onde sonore atmosferiche, grazie alla rete nazionale di oltre 4.500 ricevitori GNSS e i risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Earth, Planets and Space, potrebbero rivoluzionare il nostro approccio ai sistemi di allerta precoce e alla protezione delle infrastrutture digitali.
Come si osserva un terremoto… dal cielo?
Quando un terremoto avviene, può generare onde acustiche che si propagano verso l’alto. Circa 10 minuti dopo il sisma, queste onde raggiungono la ionosfera (tra 60 e 1000 km di altitudine), deformandola come un sasso che cade in uno stagno. I segnali satellitari che la attraversano rallentano a causa della presenza di elettroni, e questa variazione può essere misurata.

Tracciando queste variazioni da migliaia di angolazioni diverse, i ricercatori giapponesi hanno costruito, grazie a tecniche di tomografia simili a una TAC, un modello tridimensionale dell’intera perturbazione.
“La nostra rete GNSS ci ha permesso di catturare la forma e l’evoluzione delle onde acustiche con un dettaglio mai visto prima”, spiega il professor Yuichi Otsuka, a capo del progetto.
La scoperta sui terremoti: non un singolo epicentro, ma una faglia che “parla”
I modelli sismici classici si basano sull’idea che le onde partano da un unico punto: l’epicentro. Ma le immagini tridimensionali ottenute dal team mostrano uno scenario più complesso: le onde si generano in più punti della faglia, e lo fanno in momenti diversi.

Questo spiega perché alcune onde appaiono inclinate e poi, col tempo, si raddrizzano: non è solo fisica dell’atmosfera, ma anche dinamica della frattura terrestre.
“Abbiamo visto che alcune sezioni della faglia hanno generato onde anche 30 secondi dopo la rottura iniziale. Questo cambia tutto”, sottolinea il dottor Weizheng Fu, autore principale dello studio.
Perché ci interessa? Perché i satelliti ci servono sempre
Queste perturbazioni atmosferiche non sono un dettaglio da accademici: possono alterare la precisione del GPS, disturbare le comunicazioni satellitari e compromettere tecnologie sensibili come droni, veicoli a guida autonoma e comunicazioni d’emergenza.

Capire meglio come si propagano queste onde significa anticipare i rischi, progettare sistemi di allerta più efficienti e persino proteggere i segnali in tempo reale durante eventi estremi.
E domani? Tsunami, vulcani e meteo estremo
Il team giapponese sta già lavorando per estendere il modello ad altri eventi naturali, come eruzioni vulcaniche, tsunami e tempeste particolarmente violente: sono tutti fenomeni che, proprio come i terremoti, parlano anche al cielo.
E ora, per la prima volta, abbiamo gli strumenti per ascoltarli e visualizzarli.