Provention Bio (PRVB.O) ha dichiarato, il 17 novembre 2022, che la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha approvato l’uso del suo farmaco Teplizumab nei soggetti di età pari o superiore a otto anni, il primo trattamento volto a ritardare l’insorgenza di insulino-dipendenza diabete di tipo 1.
Il regolatore sanitario statunitense ha consentito la vendita di teplizumab, con il marchio Tzield, per i pazienti con stadio 2 della malattia che presentano due o più autoanticorpi della malattia e anomalie nella stabilità della glicemia, ha affermato Provention Bio.
Teplizumab: ecco come agisce
“Prevediamo di avere farmaci nel canale entro la fine dell’anno”, ha dichiarato Jason Hoitt, chief commercial officer di Provention, aggiungendo che sono in corso i preparativi con il suo partner Sanofi per un lancio completo nel gennaio 2023.
A ottobre, Provention ha firmato un accordo di co-promozione per il farmaco Teplizumab con Sanofi (SASY.PA) , offrendo al produttore farmaceutico francese il primo negoziato per i diritti globali esclusivi per la commercializzazione del farmaco in cambio di un pagamento anticipato di $ 20 milioni.
“Ci aspettiamo che ci sia un valore maggiore di teplizumab al di là di questa indicazione e speriamo in una collaborazione più ampia con Provention in futuro”, ha affermato Olivier Bogillot, capo di Sanofi US General Medicines. Secondo l’accordo, l’approvazione consentirà anche a Sanofi di acquistare fino a 35 milioni di dollari di azioni ordinarie di Provention.
L’attuale standard di cura per il diabete di tipo 1 richiede ai pazienti di monitorare e gestire sintomi come livelli di zucchero nel sangue bassi o alti attraverso l’assunzione regolare di insulina. Il farmaco teplizumab è iniettabile, per il quale Provention ha acquisito i diritti da MacroGenics Inc (MGNX.O) nel 2018, e si tratta un anticorpo monoclonale che sopprime la risposta immunitaria del corpo e gli consente di produrre insulina più a lungo, ritardando così l’insorgenza del diabete di tipo 1.
Il diabete di tipo 1, precedentemente noto come diabete giovanile, è una malattia in cui il sistema immunitario attacca e distrugge le cellule beta produttrici di insulina nel pancreas, lasciando i malati dipendenti dalle regolari iniezioni di insulina.
“L’approvazione odierna di una terapia first in class aggiunge una nuova importante opzione terapeutica per alcuni pazienti a rischio”, ha dichiarato John Sharretts, direttore della Divisione Diabete, Disordini Lipidici e Obesità del Centro per la Valutazione e la Ricerca sui Farmaci dell’FDA. “Il potenziale del farmaco di ritardare la diagnosi clinica del diabete di tipo 1 può offrire ai pazienti mesi o anni senza gli oneri della malattia”.
Eleanor Ramos, Chief Medical Officer presso Provention Bio, ha commentato: “La progressione del T1D può essere particolarmente onerosa. I pazienti che passano dallo stadio 2 allo stadio 3 possono sviluppare chetoacidosi diabetica, che può essere pericolosa per la vita e può verificarsi in circa il 50% dei pazienti in stadio 3.
L’esordio di questa fase di diabete è un momento che cambia la vita: una volta che le cellule produttrici di insulina non sono più in grado di mantenere il normale controllo glicemico, questa condizione irreversibile può portare alla necessità, in un solo anno, per un paziente, di 1.460 pungidito per controllare i livelli di glucosio nel sangue, circa 1.100 iniezioni di insulina e una media di 127 episodi di ipoglicemia. Complicazioni che possono causare stress, paura e ansia nei pazienti”.
“E’ un importante passo nel campo del diabete di tipo1 – spiega Emanuele Bosi, primario dell’Unità di Medicina Generale indirizzo diabetologico ed endocrino-metabolico all’IRCCS Ospedale San Raffaele da sempre in prima linea negli studi di prevenzione, nonché uno dei principali ricercatori della rete TrialNet – che segna una svolta scientifica e culturale importante in questa malattia”.
” Da anni siamo in grado di predire la malattia in modo adeguato, ma non potevamo offrire un trattamento con lo scopo di ritardare lo sviluppo della malattia. Ora questa prospettiva si sta concretizzando sperando che presto si potrà anche prevenire e non solo ritardare. Nel frattempo dobbiamo sottolineare l’importanza di iniziare ad immaginare come individuare i soggetti che potrebbero beneficiare di questo farmaco, per esempio con campagne di screening basate sul dosaggio degli auto anticorpi”.
“Le conseguenze di questa approvazione sono molto più ampie di quanto non si possa immaginare e non riguardano solo gli aspetti strettamente clinici – ha osservato Lorenzo Piemonti direttore del DRI di Milano e primario dell’unità di medicina rigenerativa e dei trapianti all’IRCCS Ospedale San Raffaele”.
“Si discuterà molto sul rapporto rischio beneficio nella pratica clinica, si dovrà cambiare l’attuale disegno standard degli studi di prevenzione con qualche difficoltà per gli approcci che prevedono strategie in cui l’azione del farmaco potrebbe risultare antagonista ma soprattutto spingerà ad identificare precocemente la malattia, prima dell’esordio clinico. Questo sarà un grosso punto di riflessione più generale per il futuro che dovremo risolvere per evitare il rischio di avere trattamenti potenzialmente efficaci ma non essere in grado di identificare i pazienti che ne possano beneficiare”, ha concluso l’esperto.
Secondo il Ministero della Salute: “Il diabete di tipo 1 rappresenta circa il 10% dei casi di diabete. È detto anche diabete giovanile o insulino-dipendente, per distinguerlo dal tipo 2 (detto anche dell’adulto), in quanto insorge, di solito, in giovane età e l’unico trattamento possibile è quello con insulina. Si sviluppa in genere durante gli anni dell’adolescenza, ma può comparire anche in bambini piccolissimi (perfino neonati) o in giovani adulti e dura tutta la vita”.
“In Italia le persone con diabete di tipo 1 sono circa 300.000 e l’incidenza di questa patologia è in aumento in tutto il mondo. Il diabete di tipo 1 può essere difficilmente prevenuto, in quanto sono ancora poco chiari i fattori di rischio, che interagiscono con la predisposizione genetica scatenando la reazione autoimmunitaria”.