Una nuova ricerca ha dimostrato che i bambini nati tramite taglio cesareo hanno un rischio maggiore di incorrere nello sviluppo di malattie cardiovascolari e obesità e ha lanciato un appello per limitare la pratica sempre più diffusa.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Journal of Public Health dell’Australia e della Nuova Zelanda.
Taglio cesareo: quali sono gli svantaggi?
La Dottoressa Yaqoot Fatima del Murtupuni Center for Rural and Remote Health della James Cook University insieme alla Dottoressa Tahmina Begum dell’Università del Queensland hanno fatto parte di un gruppo di ricerca che ha utilizzato i dati dello studio longitudinale sui bambini australiani per analizzare i risultati sulla salute dei bambini partoriti con il taglio cesareo.
“Le nascite con taglio cesareo sono aumentate in tutto il mondo con un tasso sproporzionatamente più alto nei paesi sviluppati. In Australia, il tasso di natalità con taglio cesareo è aumentato dal 18,5% nel 1990 al 36% nel 2019 e si prevede che quasi la metà dei bambini australiani sarà nato con taglio cesareo entro il 2045”, ha detto il Dottor Begum.
Le ricercatrici hanno sostenuto che lo studio ha trovato una relazione tra nascite con taglio cesareo e fattori di rischio di esposizione a malattie cardt (CVD) nei bambini: “Quattro su sei componenti di rischio CVD individuali e l’indice composito delle cinque componenti di rischio CVD hanno mostrato un’associazione positiva con il parto cesareo. Il nostro studio ha anche fornito una relazione diretta tra taglio cesareo e aumento del sovrappeso e dell’obesità tra i bambini di 10-10 anni. 12 anni di età”, ha dichiarato il Dottor Fatima.
Il Dottor Begum ha altresì spiegato c’era una ragione biologicamente plausibile per collegare il taglo cesareo ai fattori di rischio CVD e all’obesità: “C’è una carica microbica alterata dal parto cesareo rispetto al parto vaginale. Questo ecosistema microbico alterato ostacola l’asse intestino-cervello e rilascia alcune tossine patogene che causano danni metabolici”, ha affermato lo studioso.
Il Dottor Fatima ha aggiunto che era anche possibile che lo stress fetale dovuto all’induzione fisiologica o farmacologica del travaglio durante un taglio cesareo potesse avere un effetto: “In Australia nel 2020, circa il 26% dei decessi all’anno nella popolazione adulta era il risultato di CVD. A livello globale, lo spettro di malattie croniche delle CVD costa trilioni a causa delle spese relative ai servizi sanitari e alla perdita di produttività economica”.
Il ricercatore ha affermato che lo studio fornisce importanti spunti sulla politica sanitaria e sulla direzione strategica verso la riduzione del rischio di malattie croniche: “Tassi crescenti di tagli cesarei condotti per motivi non clinici è una delle principali preoccupazioni per la salute pubblica che richiede una riduzione del tasso di tagli cesarei non necessari e dei costi umani ed economici associazione “, ha affermato il Dottor Begum.
Un altro studio invece ha individuato la possibilità che i bambini nati tramite taglio cesareo possano essere esposti ad un rischio maggiore di sviluppare la malattia di Crohn più avanti nella vita.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Acta Obstetricia et Gynecologica Scandinavica.
Nello studio nazionale sulla popolazione, tutte le persone incluse nel registro delle nascite mediche in Svezia tra il 1990 e il 2000 sono state seguite fino al 2017. Tra 1.102.468 persone, di cui l’11,6% è stato partorito con taglio cesareo e l’88,4% è stato partorito per via vaginale, il taglio cesareo è stato associato a un rischio maggiore del 14% di sviluppare il morbo di Crohn dopo l’aggiustamento per i fattori di confondimento. Non sono state trovate associazioni tra modalità di consegna e appendicite, colite ulcerosa, colecistite o diverticolosi.
“Il nostro studio è il più ampio in questo campo, e mostra nuove interessanti associazioni tra taglio cesareo e aumento del rischio più avanti nella vita di incorrere nel il morbo di Crohn. Ipotizziamo che il meccanismo alla base potrebbe essere il microbioma intestinale, ma ulteriori studi dovranno confermarlo”, ha affermato l’autrice senior Anna Löf Granström, del Karolinska Institute, in Svezia.
Per quanto invece riguarda l’Italia, secondo l’Istituto Superiore Della Sanità: ” Negli ultimi venti anni la frequenza del parto cesareo è molto aumentata in Italia: si è passati da 11,2% nel 1980 a 33,2% nel 2000. Questo valore risulta molto più elevato rispetto ai valori degli altri paesi europei (per esempio 21,5% in Inghilterra e Galles, 17,8% in Spagna, 15,9% in Francia) e del 10-15% rispetto a quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità”.
“Esiste, inoltre, una notevole variabilità regionale, con un minimo di 18,7% nella Provincia di Bolzano e un massimo di 53,4% in Campania nel 2000. Anche all’interno delle regioni si riscontra un’ampia variabilità tra strutture. I maggiori aumenti si sono osservati nell’Italia del Sud (da 8,5% del 1980 a 53,4% nel 2000 in Campania e da 7,1% a 37,6% in Calabria). Valori più elevati di ricorso al taglio cesarei e incrementi maggiori negli anni si sono riscontrati nelle cliniche private”.
Luigi Frigerio, Primario di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha dichiarato: “Innanzitutto il taglio cesareo è una procedura chirurgica in piena regola non scevra da rischi sia per la mamma che per il bambino. Nella stragrande maggioranza dei casi non comporta conseguenze, ma non si può escludere che durante l’operazione si verifichino complicanze chirurgiche, emorragiche, trombo-emboliche, infettive o legate all’anestesia locale o totale. L’intervento, inoltre, può aumentare i rischi di rottura dell’utero e di errori della placentazione nelle gravidanze successive. O, ancora, può portare alla formazione di aderenze e causare dolore pelvico cronico”.
“Quanto al bambino, l’intervento lo espone a un aumentato rischio di complicanze respiratorie, essendo privato della spremitura polmonare che avviene durante il passaggio nel canale del parto. Nascere con un taglio cesareo anziché per via vaginale, inoltre, comporta differenze nella composizione del microbiota: l’insieme di batteri che colonizzano l’intestino, che possono incidere sulla maturazione del sistema immunitario e predisporre a malattie autoimmuni”.
Esistono però dei casi per i quali intervenire col taglio cesareo è fondamentale: “Esistono delle indicazioni assolute al cesareo: ad esempio, nei casi di placenta previa, di presentazione anomala del feto, di bacino materno stretto, di bambino eccessivamente grosso, in presenza di gravi malattie materne o di un fibroma previo. E poi, in tutte le situazioni di emergenza: nei casi di sofferenza fetale, di distacco di placenta, di anomalie del collo dell’utero, di sanguinamento di una placenta previa o di complicanze di una gestosi”, ha spiegato il Professor Frigerio.
Esiste anche la possibilità che si tratti di gemelli di cui uno podalico: “C’è un’idea diffusa che, in questi casi, essendo già uscito un primo bambino, per il secondo sia più facile farsi strada. Non esistono, però, dati in letteratura che possano garantire una sicurezza sufficiente al riguardo. In America, questa eventualità non è considerata un’indicazione assoluta al taglio cesareo. D’altra parte, esiste un 2 – 4% di rischio di incarceramento della testa del bambino di cui bisogna tenere conto. Se si verifica, non si ha margine di manovra. Nella valutazione del rapporto rischi-benefici, quindi, in Italia si tende a preferire il cesareo al parto naturale”, ha specificato Frigerio.
“Quanto alle gravidanze gemellari, in un 85% dei casi si opta per il cesareo, in ragione della prematurità, della corionicità – quando cioè i gemelli condividono una sola placenta, situazione che comporta maggiori rischi – o della presentazione di uno dei due feti in posizione podalica. Solo in un 10-15% di gravidanze bigemine si procede con il parto naturale: quando i sacchi amniotici e le placente sono due e i gemelli si presentano in posizione cefalica, cioè con la testa rivolta verso il basso”.
La Dottoressa Chiara Riviello ha aggiunto: ” Durante il parto naturale e soprattutto nel periodo del travaglio possono emergere alcune complicazioni (per le quali la salute – o la vita – della madre o del feto vengono messe davvero a rischio) che richiedono l’intervento immediato dell’equipe medica in sala operatoria con l’indicazione di un taglio cesareo d’urgenza. Questo può avvenire a causa del distacco della placenta, del prolasso del cordone ombelicale, per l’alterazione del battito cardiaco fetale, per preenclapsia della madre”.
In qualità di ginecologa e più spesso nell’esercizio della mia funzione di medico forense, mi trovo a valutare sempre più spesso casi che affrontano in queste situazioni impreviste l’aspetto della corretta valutazione della gravità delle complicanze e della relativa gestione delle tempistiche d’intervento in emergenza. Per definire queste tempistiche noi medici e operatori sanitari facciamo riferimento alle linee guida internazionali (N.I.C.E., A.C.O.G.) [note 1,2,3] che recitano: “Quando è sospettata o confermata una compromissione fetale acuta, deve essere eseguito un taglio cesareo il prima possibile e idealmente entro i 30 minuti, tenendo in considerazione fattori fetali e materni”.
“La storia della tempistica del taglio cesareo in emergenza urgenza vede una modifica dei tempi stabiliti tra decisione e nascita da cesareo. Infatti, se a partire dal 1982 veniva stabilito che un servizio ostetrico in presenza di pazienti ad alto rischio avrebbe dovuto garantire l’esecuzione del taglio cesareo in 15 minuti, studi successivi hanno evidenziato su un’analisi di oltre 500 ospedali, che la buona parte di questi era in grado di eseguire un taglio cesareo in emergenza entro 30 minuti, ma non in 15, considerando il tempo necessario per allestire la sala operatoria, per la preparazione chirurgica della paziente e da che l’anestesia generale facesse effetto. Per tale motivo fu stabilito il tempo adeguato di esecuzione di taglio cesareo in urgenza nell’intervallo di 30 minuti”.
“La tempistica di 30 minuti può essere eccessivamente lunga in alcune situazioni d’emergenza, che richiedono un intervento in cesareo immediato, come nell’esempio di una condizione di sofferenza fetale dovuta a mancanza di ossigeno (condizione anossica), per le possibili ripercussioni neurologiche sul cervello del bambino. Gli studi pubblicati a proposito dimostrano infatti che in questo caso i danni neurologici si creano nei primi 5-6 minuti di assenza d’ossigeno (vedi esperimenti di Myers sui primati cui provocava l’interruzione dell’afflusso circolatorio cerebrale)”.