Là sotto, a chilometri di profondità, c’è un mondo invisibile che lavora senza sosta per la Terra. Non parliamo di coralli o pesci abissali, ma di microrganismi che si nutrono di metano, uno dei gas serra più potenti in natura. E la loro arma è sorprendente: una rete elettrica vivente.
Uno studio dell’University of Southern California, pubblicato su Science Advances, ha svelato il meccanismo: due microbi molto diversi tra loro collaborano, creando un sistema capace di consumare metano prima che risalga in atmosfera. Una scoperta che non riguarda solo gli oceani, ma apre scenari anche per ridurre l’impatto dei gas serra prodotti dalle attività umane.
Perché il metano è un problema serio

Il metano è spesso sottovalutato rispetto alla CO₂, ma è un gas serra decine di volte più potente. Proviene da fonti naturali, come i fondali oceanici, e da attività umane, soprattutto allevamenti intensivi, discariche e produzione di combustibili fossili. Se riuscisse a fuoriuscire in grandi quantità dall’oceano, l’effetto sull’atmosfera sarebbe devastante.
Eppure, buona parte del metano rilasciato dai fondali non arriva mai in superficie. Da anni i ricercatori sospettavano che la spiegazione fosse nei microbi, ma mancava la prova del “come”.
Due alleati improbabili
Il team guidato da Hang Yu ha scoperto che il metano non può essere consumato da un solo organismo. Serve una coppia:
- Gli Archea, antichissimi microrganismi che riescono a scomporre il metano. Durante la reazione rilasciano però elettroni che, se non trovano un “ricevitore”, bloccano il processo.
- I batteri, incapaci di nutrirsi di metano, ma in grado di accettare quegli elettroni e trasferirli alle loro molecole di solfato.
Il risultato è un circuito biologico. Gli Archea producono elettroni, i batteri li raccolgono e li portano via. Insieme formano una rete elettrica naturale, perfetta per mantenere attiva la reazione che distrugge il metano.

La prova in laboratorio
La parte più affascinante della ricerca è che per la prima volta si è riusciti a misurare in laboratorio questo scambio di elettroni. Gli scienziati hanno raccolto campioni da vari fondali marini, incluso il Mar Mediterraneo, e li hanno analizzati con tecniche avanzate. Il flusso elettrico generato dalla comunità microbica è stato osservato in diretta, confermando l’ipotesi.
“Queste collaborazioni microbiche agiscono come sentinelle naturali”, spiega Yu. “Svolgono un ruolo cruciale nel limitare il rilascio di metano nell’oceano e nell’atmosfera”.
Anche Victoria Orphan, co-autrice della ricerca al California Institute of Technology (Caltech), sottolinea l’importanza della scoperta: “Dimostra quanto abbiamo ancora da imparare sugli ecosistemi microbici da cui dipendiamo”.
Microbi custodi del clima
Pensarci fa impressione: miliardi di minuscoli esseri invisibili che cooperano per mantenere l’equilibrio del pianeta. Senza di loro, il metano intrappolato nei sedimenti oceanici raggiungerebbe l’atmosfera in quantità enormi, alterando il clima globale.
E non si tratta di un meccanismo raro o marginale: gli scienziati ritengono che questi microbi siano presenti in moltissime aree dei fondali marini. Sono un sistema di difesa naturale contro il riscaldamento globale, attivo da milioni di anni.
Dalla natura alla tecnologia
Lo studio non si ferma all’osservazione. Capire come funziona questa rete elettrica microbica potrebbe ispirare nuove tecnologie per il trattamento dei gas serra prodotti dall’uomo. Immagina bioreattori che replicano lo stesso processo su larga scala, capaci di ridurre le emissioni di metano provenienti da allevamenti, discariche o centrali a gas.
Non è un’idea remota. Negli ultimi anni si è lavorato molto su biofilm e comunità microbiche capaci di generare elettricità o abbattere inquinanti. La scoperta di Yu e colleghi fornisce un modello naturale perfetto da studiare e, un giorno, applicare.
Una lezione dal profondo
Questa ricerca mostra quanto poco conosciamo degli oceani e delle forme di vita che li abitano. In un mondo ossessionato da tecnologie sempre più sofisticate, la risposta a problemi globali come il cambiamento climatico potrebbe trovarsi proprio nei processi invisibili che la natura ha già sviluppato.
Gli abissi marini, spesso visti solo come luoghi ostili e remoti, custodiscono alleanze biologiche che potrebbero diventare strumenti per il nostro futuro. Forse la vera innovazione è imparare a osservare, capire e rispettare i meccanismi che la Terra ha già messo in campo.
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