Dopo aver visto alcuni delitti negli stati uniti tra cui Alphabet Killer e Zodiac, ecco un caso tutto italiano: la strage di Via Caravaggio.
Strage di via Caravaggio: breve introduzione
La “strage di via Caravaggio” è uno dei casi più inquietanti e irrisolti della cronaca nera italiana del dopoguerra. Si compì nella notte tra il 30 e il 31 ottobre 1975 (anche se venne scoperto solo giorni dopo), nell’appartamento al civico 78 di via Michelangelo da Caravaggio, a Fuorigrotta, Napoli.
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Tre persone di una stessa famiglia, tra cui Domenico Santangelo, la sua seconda moglie Gemma Cenname e la figlia Angela Santangelo, furono brutalmente uccise. Anche il cane di famiglia, di nome Dick, fu soffocato con una coperta.
Nel corso dei decenni, le indagini hanno oscillato tra ipotesi di delitto passionali, squilibrio, vendetta familiare e “killer professionisti”, ma nessuna certezza è stata mai stabilita definitivamente. Il caso è diventato quasi un archetipo di “cold case” italiano.
Ecco la cronaca, le piste investigative, le contraddizioni e le lezioni (in senso investigativo, processuale e sociale) che questa vicenda ci lascia.
I fatti: ricostruzione della notte e scoperta del delitto
L’abitazione e la famiglia Santangelo si presentava così:
- L’appartamento era al quarto piano del palazzo al civico 78 di via Caravaggio.
- Le vittime:
• Domenico Santangelo, 54 anni, rappresentante di commercio ed ex capitano di lungo corso.
• Gemma Cenname, 50 anni, ostetrica (e già insegnante).
• Angela Santangelo, 19 anni, figlia di Domenico, impiegata all’INAM.
• Il cane di famiglia, Dick, uno Yorkshire.
Punti critici, contraddizioni e le domande ancora aperte
Questo delitto si porta dietro parecchie contraddizioni che a distanza di di mezzo secolo lasciano ancora molto perplessi.
1. L’evidenza scientifica: quanto è forte?
La strage di via Caravaggio purtroppo ha non poche lacune a livello scientifico:
- Le impronte di scarpa trovate sulla scena erano compatibili con numero 41–42, non necessariamente esclusivo di Zarrelli, e non combaciavano con le sue.
- Le impronte digitali rinvenute non coincisero con quelle dell’imputato Zarrelli.
- Il profilo genetico trovato sui reperti risulta ambiguo: essendo i campioni stati conservati in epoche antecedenti alle normative attuali, possono esserci problemi di contaminazione e catena di custodia.
- Il ritrovamento del DNA di Zarrelli non è prova automatica di colpevolezza, soprattutto in un contesto familiare dove l’individuo frequentava l’abitazione (cioè ha accesso legittimo ai luoghi). In termini informatici: l’“accesso” non implica automaticamente “il write finale del delitto”.
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2. Ipotesi alternative: assassini professionisti o terze parti
La strage di via Caravaggio ha dato avvio anche ad altre ipotesi:
- Una delle difese principali di Zarrelli fu che la strage fosse opera di killer professionisti, esterni alla famiglia, e che il coinvolgimento del suo nome fosse una falsità indiziaria.
- Questa ipotesi cerca di spiegare l’accuratezza dell’omicidio, la distruzione di prove, la pulizia parziale della scena e l’assenza di movente chiaro (almeno nei primi livelli dell’indagine).
- Se fosse così, l’assassino avrebbe operato con consapevolezza forense, riducendo al minimo tracce utili e magari usando la frequentazione familiare di Zarrelli come “copertura”: un inganno tattico, come in una guerra.
3. Problema del tempo e deterioramento delle prove
Essendo un delitto accaduto molti anni fa, la strage di Via Caravaggio purtroppo ha la problematica del deterioramente delle prove. Infatti:
- Dal 1975 fino all’era moderna sono passati decenni: molte tracce vennero archiviate senza protocolli rigorosi, né conservazione adeguata in previsione di analisi genetiche moderne.
- Il deterioramento, la contaminazione e la perdita parziale di materiali rendono difficile oggi stabilire un “chain of custody” indiscutibile.
- In termini tecnici, è come se un log di sistema chiave per risalire a un crash fosse stato sovrascritto più volte.
4. Motivo e movente: mancante o occultato?
Il movente della strage di via Caravaggio resta tutt’oggi un mistero:
- Se Zarrelli fosse colpevole, il movente noto (prestito negato) appare debole e limitato. Non basta un rifiuto finanziario per giustificare un massacro?
- La versione del raptus, spesso adombrata, è pericolosa come spiegazione: serve prova di squilibrio, ossia una “firma psichica” dell’autore — che non è mai emersa chiaramente.
- Quale movente alternativo avrebbe potuto esserci? Vendetta, gelosia, risentimenti ereditari o contesti esterni alla famiglia (affari, debiti, altri soggetti) sono ipotesi che non sono state pienamente esplorate o che non hanno prodotto evidenze conclamanti.
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5. Il nodo “ne bis in idem”
Nel caso della strage di via Caravaggio ecco apparire anche una cosa singolare, la legge che mette i bastoni tra le ruote:
- La legge italiana prevede che non si possa essere processati due volte per lo stesso fatto (salvo casi eccezionali).
- Pertanto, anche se l’analisi genetica moderna restituisse una prova convincente, Zarrelli non può essere nuovamente processato per quella stessa strage.
- Questa barriera giuridica ufficializza un limite al “re-processare” ogni vecchio caso con nuove tecnologie: un tema molto dibattuto nel diritto penale moderno.
Conclusione sulla strage di via Caravaggio
La strage di via Caravaggio rimane un caso cupamente affascinante perché mescola dolore umano, fallimenti investigativi e il confine tra certezza e congettura. Anche dopo decenni, le domande restano molte:
- Chi ha fatto materialmente quel delitto e perché?
- Perché le prove (anche genetiche) non sono state sufficienti a incriminare definitivamente un soggetto?
- Quanto pesa il vincolo del ne bis in idem nell’impossibilità di “riaprire” la giustizia?
- Quale parte dell’indagine è stata trascurata da decenni testimoni, contesti esterni, segnali secondari?
Molte domande delle quali, forse, non avremo mai la risposta.