Negli ultimi tre anni, l’emergere di effetti a lungo termine associati a COVID-19 ha portato a una maggiore attenzione su una malattia con caratteristiche e sintomi simili: l’encefalomielite mialgica/sindrome da stanchezza cronica (ME/CFS). Due studi stanno esaminando più da vicino la ME/CFS in relazione al microbioma e ai metaboliti prodotti dalle specie microbiche.
I risultati delle ricerche sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cell Host & Microbe.
Sindrome da stanchezza cronica: qual è la correlazione con il microbioma?
Entrambi gli studi hanno scoperto che la sindrome da stanchezza cronica è associata a livelli ridotti nel microbioma gastrointestinale di microbi noti per produrre l’acido grasso butirrato. Queste interruzioni del microbioma potrebbero spiegare in parte come il sistema immunitario viene interrotto nelle persone con la sindrome da stanchezza cronica.
“È importante notare che questa ricerca mostra una correlazione, non un nesso di causalità, tra questi cambiamenti del microbioma e la sindrome da stanchezza cronica”, afferma Julia Oh, professore associato presso il Jackson Laboratory e autrice senior di uno dei due articoli. “Ma questi risultati sono il preludio a molti altri esperimenti meccanicistici che speriamo di fare per capire di più sulla sindrome da stanchezza cronica e le sue cause sottostanti.”
“Questa ricerca dimostra che ci sono solide firme batteriche della disbiosi intestinale negli individui con sindrome da stanchezza cronica “, dice Brent L. Williams, assistente professore alla Columbia University e autore senior dell’altro articolo. “Aiuta ad espandere questo crescente campo di ricerca individuando i disturbi strutturali e funzionali nel microbioma in una malattia cronica che colpisce la qualità della vita di milioni di persone”.
La sindrome da stanchezza cronica è una malattia cronica, complessa e sistemica associata a disfunzioni neurologiche, immunologiche, autonomiche e del metabolismo energetico. È stato riconosciuto per decenni, ma le sue cause rimangono poco conosciute. Come il COVID lungo, si ritiene che nella maggior parte dei casi sia innescato dall’esposizione a virus o altri agenti infettivi.
Una cosa che ha reso difficile studiare la sindrome da stanchezza cronica è che tende ad essere eterogenea—non tutte le persone con la malattia hanno la stessa storia medica o sintomi. Entrambi i gruppi di ricerca affermano che è per questo che è importante fare studi come questi che analizzino i dati di un gran numero di pazienti. Il microbioma è recentemente emerso come un potenziale contributore e biomarcatore per la ME/CFS, rendendone importante lo studio.
Lo studio di Oh ha utilizzato la metagenomica shotgun per confrontare campioni di microbioma di persone sia con Lo studio di Oh ha utilizzato la metagenomica shotgun per confrontare campioni di microbioma di persone sia con Lo studio di Oh ha utilizzato la metagenomica shotgun per confrontare campioni di microbioma di persone sia con sindrome da stanchezza cronica a breve termine (definite come quelle diagnosticate nei quattro anni precedenti; 74 pazienti) sia con ME/CFS a lungo termine (definite come coloro che hanno avuto sintomi per più di 10 anni; 75 pazienti) e 79 controlli sani abbinati per età e sesso.
Gli investigatori hanno anche esaminato i campioni di plasma dei partecipanti. I pazienti erano in cura presso il Bateman Horne Center di Salt Lake City, nello Utah, che ha una collaborazione di lunga data con i membri del Jackson Laboratory.a breve termine (definite come quelle diagnosticate nei quattro anni precedenti; 74 pazienti) sia con sindrome da stanchezza cronica a lungo termine (definite come coloro che hanno avuto sintomi per più di 10 anni; 75 pazienti) e 79 controlli sani abbinati per età e sesso.
Gli investigatori hanno anche esaminato i campioni di plasma dei partecipanti. I pazienti erano in cura presso il Bateman Horne Center di Salt Lake City, nello Utah, che ha una collaborazione di lunga data con i membri del Jackson Laboratory.
L’analisi ha mostrato che i pazienti con malattia a breve termine avevano una serie di cambiamenti nei loro microbiomi per quanto riguarda la diversità. In particolare, avevano un esaurimento di microbi noti per essere produttori di butirrato. Il butirrato è importante per proteggere l’integrità della barriera intestinale ed è anche noto per svolgere un ruolo importante nella modulazione del sistema immunitario.
Al contrario, quelli con malattia a lungo termine avevano microbiomi intestinali che si erano ristabiliti ed erano più simili ai controlli sani. Tuttavia, quei partecipanti avevano accumulato una serie di cambiamenti nei metaboliti nel loro plasma sanguigno , compresi molti di quelli legati al sistema immunitario. Avevano anche differenze nei livelli di alcuni tipi di cellule immunitarie rispetto ai controlli sani.
Lo studio di Williams ha utilizzato il sequenziamento metagenomico shotgun per esaminare i microbiomi di 106 persone con Lo studio di Williams ha utilizzato il sequenziamento metagenomico shotgun per esaminare i microbiomi di 106 persone Lo studio di Williams ha utilizzato il sequenziamento metagenomico shotgun per esaminare i microbiomi di 106 persone con sindrome da stanchezza cronica e 91 controlli sani che sono stati abbinati per età, sesso, geografia e stato socioeconomico.
Questo studio è stato intrapreso da un gruppo di ricerca interdisciplinare e multiistituzionale, il Center for Solutions for sindrome da stanchezza cronica, e ha reclutato pazienti da cinque diversi siti negli Stati Uniti, che hanno contribuito a controllare le differenze di microbioma che possono essere presenti in diverse regioni geografiche .
Questo studio ha anche esaminato i livelli di specie microbiche nelle feci. Non includeva l’analisi del plasma, sebbene questo gruppo abbia già pubblicato analisi di metabolomica del plasma dalla loro coorte altrove. Ha esaminato i metaboliti nelle feci, che hanno dimostrato livelli ridotti di metaboliti del butirrato nella ME/CFS.
e 91 controlli sani che sono stati abbinati per età, sesso, geografia e stato socioeconomico.
Questo studio è stato intrapreso da un gruppo di ricerca interdisciplinare e multiistituzionale, il Center for Solutions for ME/CFS, e ha reclutato pazienti da cinque diversi siti negli Stati Uniti, che hanno contribuito a controllare le differenze di microbioma che possono essere presenti in diverse regioni geografiche .
Sono necessarie ulteriori ricerche prima che questi risultati possano essere applicati direttamente a nuovi trattamenti, ma i ricercatori affermano che questi risultati aiuteranno nello sviluppo di nuovi strumenti diagnostici e potrebbero aiutare con lo sviluppo di modelli animali migliori.
“Sebbene questi risultati non dimostrino inequivocabilmente relazioni causali tra disturbi nel microbioma e sintomi, queste relazioni microbioma-sintomo presentano obiettivi potenzialmente attuabili e manipolabili per futuri studi terapeutici”, afferma Williams. “Questi studi potrebbero forse concentrarsi su interventi dietetici, probiotici, prebiotici o simbiotici e potrebbero fornire prove dirette che i batteri intestinali influenzano la presentazione dei sintomi cronici”.
Oh osserva che i suoi studi futuri aiuteranno a suddividere ulteriormente i pazienti in base alle caratteristiche della loro malattia, compresi quelli con condizioni frequentemente associate alla sindrome da stanchezza cronica, come la sindrome dell’intestino irritabile e i disturbi neuroinfiammatori. “Questo ci aiuterà a individuare specifici fattori microbici e metabolomici associati a questa malattia”, afferma.
Williams ha in programma di indagare ulteriormente sulle sue scoperte nei modelli animali. “Un modello murino trattabile per studiare i disturbi del microbioma intestinale trovati nella sindrome da stanchezza cronica fornirebbe uno strumento importante per valutare ipotesi causali, meccanismi e trattamenti”, dice.
Secondo L’osservatorio delle malattie rare: ” La Sindrome da Stanchezza Cronica, o Sindrome da Fatica Cronica (CFS, acronimo di Chronic Fatigue Syndrome) è un disturbo caratterizzato dalla fatica cronica persistente per almeno 6 mesi e di una serie di sintomi piuttosto eterogenei fra loro. La sindrome colpisce prevalentemente le donne e ha un’incidenza stimata tra 0,4% e 1%, non si tratta quindi di una malattia rara.
Recenti documentazioni internazionali raccomandano di non parlare di CFS, ma di Encefalomielite Mialgica (ME), fisiopatologia sottostante alla Sindrome da Stanchezza Cronica e malattia riconosciuta dall’OMS.
L’encefalomielite mialgica, nota anche come sindrome da fatica cronica o sindrome da stanchezza cronica, – richiama l’interrogazione – è una malattia riconosciuta dall’OMS già dal 1969, rinominata sindrome da stanchezza post virale nel 2019 a cui è stato attribuito il codice ICD 11-8E49. Si tratta di una patologia debilitante multisistemica, ossia coinvolge più sistemi (come quello nervoso, immunitario, digestivo e scheletrico), ed è anche accompagnata da disfunzioni del metabolismo energetico che causano la stanchezza cronica che i pazienti accusano.
I dati a disposizione su questa sindrome – mette in evidenza la Sen. Fregolent – provengono da indagini svolte negli Stati Uniti, dove è stato stimato che circa 2 milioni e mezzo di persone siano affette da questa malattia. In Italia questa patologia non è molto conosciuta e gli unici dati provengono da studi effettuati solo in alcune regioni, nelle quali la prevalenza di persone affette dalla sindrome si attesta intorno allo 0,1-0,2%.
Invero, nonostante non sia riconosciuta e censita rigorosamente, i centri e i medici che hanno dedicato parte della loro attività alla diagnosi e cura della malattia stimano un numero di malati tra i 250.000 e i 500.000, di cui in buona parte in condizione di gravità.
Come per molte malattie rare, anche per la sindrome da stanchezza cronica o encefalite mialgica le prime difficoltà che i medici devono affrontare sono relative all’esecuzione di una diagnosi certa, difficoltà che sono tanto maggiori quanto più generici sono i sintomi di una data patologia. In simili situazioni, assume un’importanza cruciale la possibilità di disporre di specifici percorsi di diagnosi a esclusione o test in grado di agevolare o confermare la diagnosi.
La Commissione europea nel 2020 ha sollecitato gli Stati membri a legiferare in merito, invitandoli a emanare provvedimenti a sostegno dei malati. In Italia, benché la problematica sia nota, ancora non si è addivenuti a un riconoscimento della malattia.
In assenza di un riconoscimento – denuncia l’interrogazione – i soggetti malati e le loro famiglie devono provvedere ad onerosi esborsi per le visite propedeutiche alla diagnosi della patologia e per le cure. I giovani malati in età scolastica molto spesso si trovano ad affrontare numerose difficoltà nel frequentare la scuola, ed è dunque necessario prevedere percorsi e programmi ad hoc, sostegno incluso, in modo da evitare l’abbandono scolastico.
I malati in età adulta presentano varie difficoltà nello svolgimento delle attività lavorative, ed è dunque necessario un riconoscimento dell’invalidità che la malattia comporta, individuando delle misure di supporto per i lavoratori e per le loro famiglie.
Alla luce di questo scenario, la Senatrice chiede al Ministro Speranza di sottoporre all’attenzione della commissione nazionale per l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e la promozione dell’appropriatezza nel SSN l’inserimento dell’encefalomielite mialgica nei LEA, al fine di garantire l’esenzione dal ticket per tutte le prestazioni appropriate ed efficaci per il riconoscimento, il trattamento e il monitoraggio della malattia, riconoscendo, inoltre, l’invalidità per questa tipologia di pazienti che non possono svolgere alcuna attività lavorativa e l’individuazione di strumenti per il supporto scolastico dei giovani pazienti, nonché lo stanziamento di fondi per la ricerca finalizzata a indagare sui fattori eziologici, sugli strumenti terapeutici e sugli aspetti epidemiologici della patologia”.
Umberto Tirelli, direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori di Aviano e uno dei principali esperti di CFS/ME in Italia, ha dichiarato: “La sindrome da fatica cronica (CFS), una patologia invalidante che colpisce soprattutto i giovani e gli adulti.
È una malattia caratterizzata dalla presenza persistente di uno stato di fatica, e viene accertata se è presente in forma cronica per almeno sei mesi e se vengono verificati almeno quattro sintomi all’interno di un vasta gamma di disturbi tra cui la perdita di memoria, basso livello di concentrazione e dolori articolari e febbricola. Molti pazienti ritengono di avere una sintomatologia simile ad una influenza che dura nel tempo.
La patologia ha ricevuto una collocazione nosografica autonoma come CFS fin dal primo studio del 1988 compiuto dal CDC (Center for Disease Control) americano e poi in un secondo studio del 1994 modificato dal professore Keiji Fukuda. Un articolo del 2011 pubblicato sul Journal of Internal Medicine dal titolo “Encefalomielite mialgica: criteri internazionali di consenso” insiste maggiormente sull’encefalomielite.
Il mio parere però è che per facilitare la diagnosi occorre continuare a definire la patologia secondo i criteri di Fukuda e dei suoi collaboratori e continuare a chiamarla Sindrome da fatica cronica finché non vi saranno delle evidenze su cosa determina effettivamente la patologia.
È importante soggettività del sintomo principale, ovvero il senso di fatica. La comune nozione di stanchezza spesso si sovrappone al sintomo di fatica clinicamente rilevante. Come indicato da Komaroff, Professore di Medicina ad Harvard, la CFS non è una forma di depressione e molti pazienti con CFS non sono affetti da malattie psichiatriche.
Alcuni pazienti possono soffrire di depressione reattiva, ma un recente studio inglese ha reso evidente la contraddittorietà delle tendenze sul tasso di mortalità nei casi di CFS e nei casi di depressione. Inoltre, lo stesso studio mette in luce il disagio dei pazienti a ricevere trattamenti e assistenza da psichiatri, dal momento che essi vedono le cause dei loro sintomi come biologici e non psichiatrici
Le cause della sindrome da fatica cronica sono molteplici. Recentemente è stata valutata l’importanza di effettuare un test genetico con il quale è possibile valutare la suscettibilità del paziente a sviluppare una stanchezza cronica ed eventualmente una sindrome da fatica cronica che potrebbe essere valutata anche nei familiari stretti.
Per quanto riguarda le cause virali, non sono tanto i virus il problema, ma la risposta anomala ad un’infezione anche banale del sistema immunitario che rimane disreattivo e produce quelle sostanze (interleuchine, ad esempio) che creano i sintomi
La diagnosi di CFS/ME può essere posta solo dopo aver escluso cause di fatica cronica mediche e psichiatriche. Esistono dei segni clinici rilevanti: nel sistema immunitario esistono prove di una attività continua delle cellule T.
Sono state riscontrate anche anomalie neurobiologiche: utilizzando la risonanza magnetica sono state evidenziate anomalie nella materia bianca e differenze di volume nella materia grigia del cervello. Utilizzando la tomografia computerizzata a emissione di singolo protone singolo e la PET sono state scoperte anomalie nel metabolismo del cervello.
All’inizio degli anni Novanta descrissi per la prima volta in Italia un numero consistente di pazienti con Sindrome da Fatica Cronica (CFS) e riportai 205 pazienti sulla rivista scientifica Archives of Internal Medicine. Molto è stato fatto per la diffusione dell’informazione e senza dubbio oggi un numero maggiore di istituzioni e medici sospettano o fanno diagnosi di questa patologia.
A livello normativo tuttavia e a livello ufficiale, la patologia rimane ancora frequentemente un oggetto sconosciuto e i pazienti hanno ovviamente grandi difficoltà non solo nel fare riconoscere la propria patologia ma nel farsi curare o accettare dai medici che vedono. Proprio per fornire uno strumento sia per i professionisti quanto per i pazienti, l’Age.na.s (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) ha presentato delle linee guida sulla CFS, messe a punto da diversi esperti tra cui il sottoscritto.
Il sintomo di stanchezza cronica della CFS è molto simile al sintomo principale della fatica correlata ai tumori, definita internazionalmente come CRF (Cancer Related Fatigue). Sono soprattutto i pazienti con tumore della mammella e linfomi che in assenza di malattia documentata presentano una sintomatologia molto simile alla CFS. Si può verificare nei pazienti anche a notevole distanza di tempo dall’avvenuta guarigione da tumore.
Questi pazienti possono essere considerati affetti da CFS cancer-related: non presentano una malattia tumorale residua e dovrebbero ricevere un trattamento simile ai pazienti di CFS. Le cause di CRF non sono tuttora note ma la causa immunologica è la più accreditata
Le ragioni sono riconducibili al duplice ruolo e carico di lavoro della donna nell’ambito familiare e sociale: le donne sono sottoposte mediamente a una maggiore quantità di ore di lavoro e questo contribuisce alla formazione di casi di CFS. I dati nella letteratura medica internazionale sono omogenei e indicano un rischio nettamente maggiore nel genere femminile, in rapporto di 1,5 a 1. Spesso succede che la donna non può permettersi il lusso di stare a riposo dopo un fatto infettivo anche banale.
Non vi sono studi specifici sulla incidenza della CFS nel nostro paese ma basandosi su quanto è stato determinato negli Stati Uniti, si può ritenere che vi siano almeno 300.000 casi di CFS, anche se probabilmente il numero è ancora più grande. Non si può pertanto considerare una malattia rara: tuttavia è sicuramente una malattia troppo poco conosciuta nonostante il grande impatto sulla qualità della vita del paziente.
Nella maggioranza dei pazienti vi è una significativa riduzione della qualità della vita che impatta notevolmente sia sul lavoro che sul contesto sociale e familiare. Nei pazienti è frequente anche il verificarsi di un indebolimento cognitivo.
Le anomalie documentate più spesso riguardano le difficoltà nella elaborazione delle informazioni, i disturbi della memoria, dell’attenzione e le capacità di problem solving. Alcuni studi hanno rivelato che I pazienti affetti da CFS/ME che lamentavano un’elevata fatica mentale mostravano una compromissione significativa nei test di misurazione dell’attenzione rispetto alla media.
Nel frattempo, la ricerca medica continua. Negli ultimi giorni giungono notizie positive dall’Australia, dove i ricercatori della Griffith University hanno individuato nuovi marcatori che potrebbero essere utilizzati negli screening test”.