Uno studio pubblicato su Current Biology e condotto da ricercatori dell’Università delle Hawai‘i lancia un campanello d’allarme: almeno trenta specie tra squali, razze e chimere, anche chiamate “squali fantasma” e vivono in zone degli oceani destinate all’estrazione mineraria in acque profonde.

Un dato preoccupante se si considera che quasi due terzi di queste specie sono già considerate a rischio di estinzione a causa delle attività umane, in particolare la pesca eccessiva. L’estrazione mineraria degli abissi, destinata a diventare realtà nei prossimi anni, potrebbe essere il colpo di grazia.
“Parliamo di animali che sono parte integrante degli equilibri oceanici e, in molti casi, anche delle nostre culture,” spiega Aaron Judah, autore principale dello studio. “Se ignoriamo questa minaccia, rischiamo di comprometterne la sopravvivenza.”
Minaccia invisibile per gli squali, ma devastante
Le attività di deep-sea mining prevedono l’utilizzo di veicoli robotici per raccogliere metalli e minerali dal fondale marino e questo processo non solo sconvolge l’ambiente del fondale, ma genera anche enormi pennacchi di sedimenti che si disperdono nelle acque sovrastanti, alterando ecosistemi delicatissimi.

Alcune specie, come le razze e le chimere, depongono le uova sul fondo del mare: per loro, l’impatto dei veicoli estrattivi potrebbe essere devastante e se pensi che si tratti di creature rare e sconosciute, sappi che tra le specie coinvolte ci sono anche lo squalo balena, la manta gigante e il misterioso squalo megabocca, avvistato per la prima volta solo negli anni ’70.
Un problema globale, ma che tocca anche le isole Hawai‘i
Più di tutti però sono proprio le isole Hawai’i ad esserne particolarmente colpite. Gli scienziati hanno confrontato le mappe degli habitat degli squali redatte dallo IUCN Shark Specialist Group con le aree di concessione stabilite dall’International Seabed Authority, scoprendo che ben 25 delle 30 specie analizzate rischiano impatti diretti dalle attività di estrazione sul fondale, mentre 30 su 30 potrebbero essere colpite dalla dispersione di sedimenti in colonna d’acqua.

Il rischio è particolarmente alto nella zona Clarion-Clipperton, una vasta pianura abissale nell’Oceano Pacifico che si estende fino alle Hawai‘i. Alcune specie sono talmente mobili che gli impatti potrebbero propagarsi anche verso gli ecosistemi costieri.
Cosa si può fare (prima che sia troppo tardi)
Gli autori dello studio suggeriscono alcune azioni concrete:
- Monitorare attivamente le specie vulnerabili
- Includerle nelle valutazioni di impatto ambientale
- Istituire aree marine protette nei pressi dei siti di estrazione
Queste misure potrebbero essere adottate sia a livello internazionale, sia dai privati coinvolti nei progetti minerari, nel rispetto del principio di precauzione ecologica.
“Gli squali sono il secondo gruppo di vertebrati più minacciato al mondo, eppure se ne parla troppo poco,” ricorda Jeff Drazen, professore di oceanografia e co-autore dello studio. “Ora che si affaccia un’altra minaccia, abbiamo il dovere di agire.”