Una scoperta rivoluzionaria dall’Università di St Andrews è stata fatta riguardo al sole: un misterio che ha ormai mezzo secolo.
Una nuova ricerca dell’Università di St Andrews ha appena ribaltato alcune delle nostre certezze sull’attività solare e secondo lo studio, pubblicato il 3 settembre su Astrophysical Journal Letters, le particelle cariche presenti nei brillamenti solari possono raggiungere temperature oltre 6 volte superiori a quanto si pensava finora.

E non è tutto: la scoperta potrebbe anche risolvere un mistero astrofisico irrisolto da 50 anni.
Brillamenti solari: eventi estremi ma fondamentali
I brillamenti solari sono esplosioni di energia che avvengono nell’atmosfera esterna del Sole. Durante questi eventi, porzioni dell’atmosfera solare possono raggiungere oltre 10 milioni di gradi, emettendo raggi X e radiazioni che viaggiano verso la Terra. Si tratta di fenomeni affascinanti, ma anche potenzialmente pericolosi: possono danneggiare satelliti, mettere a rischio la salute degli astronauti e disturbare le comunicazioni terrestri.
Il plasma solare è molto più caldo di quanto immaginassimo
Il plasma presente nei brillamenti solari è composto da ioni (particelle cariche positivamente) ed elettroni. Fino a oggi, si era dato per scontato che queste due componenti avessero la stessa temperatura durante i brillamenti. Tuttavia, il team guidato dal dottor Alexander Russell, docente di Teoria Solare presso la School of Mathematics and Statistics dell’Università di St Andrews, ha scoperto qualcosa di sorprendente.

“Abbiamo trovato prove che il processo di riconnessione magnetica riscalda gli ioni 6,5 volte più degli elettroni,” spiega Russell. “Questo fenomeno sembra essere una legge universale, osservata anche nel vento solare e confermata da simulazioni al computer. Eppure, nessuno aveva ancora collegato questi risultati al comportamento dei brillamenti solari.”
Un mistero vecchio di 50 anni trova finalmente risposta
Dal lontano 1970, gli astrofisici si interrogano su un’anomalia: le cosiddette righe spettrali dei brillamenti solari, ovvero specifici segnali di luce ultravioletta e raggi X, appaiono più larghe del previsto. Finora si pensava che la causa fossero moti turbolenti all’interno del plasma solare, ma nessuno era riuscito a identificare chiaramente questa turbolenza.

Lo studio di St Andrews propone un cambio di prospettiva: l’elevatissima temperatura degli ioni può spiegare da sola questa anomalia, senza invocare turbolenze misteriose.
“Rifacendo i calcoli con dati aggiornati,” continua Russell, “abbiamo scoperto che le differenze di temperatura tra ioni ed elettroni possono durare anche decine di minuti durante un brillamento. Questo apre la porta a una nuova comprensione dei processi fisici che governano il Sole.”
Un nuovo paradigma per l’astrofisica solare
Questa scoperta potrebbe segnare l’inizio di una nuova era nello studio del Sole. Se le temperature degli ioni sono davvero così elevate, molti modelli fisici andranno aggiornati. Inoltre, potrebbe avere implicazioni dirette per la sicurezza spaziale e per la previsione del meteo spaziale, sempre più rilevante con l’aumento delle missioni oltre l’orbita terrestre.