La sonda Solar Orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea ci regala un nuovo passo avanti nella comprensione del Sole. Dopo le immagini ravvicinate dei poli solari, arriva ora un risultato chiave: per la prima volta sono state tracciate le particelle superveloci fino alla loro origine sulla stella, distinguendo tra quelle emesse da brillamenti e quelle legate alle espulsioni di massa coronale (CME).
Questa scoperta non è solo interessante per gli astrofisici. Ha conseguenze pratiche enormi: permette di migliorare le previsioni del meteo spaziale, fondamentali per proteggere satelliti, comunicazioni e astronauti dalle radiazioni.
Due tipi di particelle, due comportamenti diversi

Lo studio, pubblicato su Astronomy and Astrophysics e guidato dall’Istituto Leibniz per l’astrofisica di Potsdam, è frutto di una collaborazione internazionale a cui hanno partecipato anche ricercatori italiani di INAF e INFN, oltre alle università di Firenze e Urbino.
Il team ha analizzato i dati raccolti dagli strumenti STIX ed EPD a bordo di Solar Orbiter, riuscendo a distinguere con precisione il comportamento di:
- Elettroni accelerati dai brillamenti solari: si muovono a raffiche improvvise, brevi e dirette.
- Elettroni associati alle CME: viaggiano in ondate più ampie e lente, con una distribuzione spaziale più caotica.
Secondo Alexander Warmuth, che ha guidato lo studio, “la differenza è netta: i primi partono a scatti, i secondi sono come un’onda lunga che si estende nel tempo”.
Perché è importante capire la differenza?

Perché le CME sono molto più pericolose. Le particelle ad alta energia emesse in questi eventi possono danneggiare i pannelli solari dei satelliti, mandare in tilt i sensori elettronici e rappresentano un rischio concreto per le missioni umane nello spazio.
Sapere con esattezza da dove partono queste particelle e come si propagano aiuta a prevedere con più precisione gli impatti. È come conoscere la traiettoria di una tempesta, solo che qui parliamo di radiazioni ad altissima energia.
Come viaggiano queste particelle nello spazio?
Un altro aspetto fondamentale dello studio riguarda il ritardo spesso osservato tra un evento solare (come un brillamento) e il momento in cui le particelle vengono rilevate nello spazio. Non è sempre un viaggio diretto.
Secondo Laura Rodríguez-García, dell’ESA e Università di Alcalá, “gli elettroni non partono in linea retta. Si scontrano con turbolenze, si disperdono, cambiano traiettoria. Più si allontanano dal Sole, più questi effetti si sommano”.
Questo spiega perché a volte li osserviamo con ritardo, anche se il brillamento o la CME è già avvenuta da ore.
Perché Solar Orbiter è la chiave di tutto

Solar Orbiter è una delle missioni ESA più ambiziose degli ultimi anni. Lanciata nel 2020, ha una traiettoria che la porta a osservare il Sole da angolazioni nuove, compresi i poli, difficili da raggiungere per altre sonde.
I suoi strumenti permettono di:
- Rilevare elettroni e ioni energetici a varie distanze dal Sole
- Studiare la struttura dei brillamenti
- Fotografare in alta risoluzione le espulsioni coronali
Questa combinazione consente un tracciamento completo delle particelle, cosa che finora non era mai stata possibile.
Meteo spaziale: non è solo roba da scienziati
Quando si parla di “meteo spaziale”, non si intende poesia. Si tratta di previsioni sull’attività solare e sugli effetti che può avere:
- Su satelliti GPS e comunicazioni
- Su reti elettriche terrestri (interruzioni, blackout)
- Su missioni spaziali con equipaggio
Conoscere meglio il comportamento delle particelle solari significa anticipare le tempeste geomagnetiche e prepararsi in tempo. Una CME violenta può causare danni reali, e l’avvertimento con ore di anticipo fa tutta la differenza.
Prossimi obiettivi: Sole sotto sorveglianza
I ricercatori puntano ora a:
- Espandere l’analisi ad altre particelle, come protoni e nuclei pesanti
- Incrociare i dati di Solar Orbiter con altre missioni (come Parker Solar Probe della NASA)
- Migliorare i modelli predittivi per eventi solari estremi
Con ogni passaggio ravvicinato al Sole, Solar Orbiter raccolta nuovi dati sempre più precisi. Il futuro del meteo spaziale si gioca proprio lì, a milioni di chilometri dalla Terra.