La sofferenza mentale (depressione, disturbo bipolare, ansia, disturbo della personalità borderline ecc.) caratterizzata da patologie che interessano la psiche può causare disturbi al cuore. A dichiararlo in una recente ricerca sono stati gli scienziati dell’Università dell’Australia Meridionale, che hanno posto l’accento su quanto sia importante non trascurare questo ambito della psichiatria.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica BioMedical Engineering.
Sofferenza mentale: perché causa disturbi anche al cuore?
La ricerca sviluppata dagli studiosi dell’Università dell’Australia Meridionale ha evidenziato che esiste un legame tra sofferenza mentale e la pressione sanguigna ampiamente fluttuante, che può portare a malattie cardiovascolari e danni agli organi.
Il ricercatore UniSA Dr. Renly Lim e colleghi delle università malesi hanno dichiarato che esistono evidenze scientifiche sul fatto che la sofferenza mentale interferisca con le funzioni autonome del corpo, tra cui pressione sanguigna, frequenza cardiaca, temperatura e respirazione.
“Abbiamo esaminato 12 studi su persone con ansia, depressione e disturbi di panico e abbiamo scoperto che, indipendentemente dall’età, la malattia mentale è significativamente associata a maggiori variazioni della pressione sanguigna durante il giorno“, ha affermato il dottor Lim.
“Abbiamo anche scoperto che per le persone che sono malate di mente, la loro frequenza cardiaca non si adatta ai fattori di stress esterni come dovrebbe. Contrariamente a quanto pensano molte persone, un cuore sano non è quello che batte come un metronomo. Invece, dovrebbe adattarsi per resistere alle sfide ambientali e psicologiche. Una frequenza cardiaca in costante cambiamento è in realtà un segno di buona salute”, ha continuato l’esperto.
La variazione della frequenza cardiaca ridotta (HRV) è comune nelle persone con malattie mentali e indica che la risposta allo stress del corpo è scarsa, aggravando gli effetti negativi dello stress cronico.
Tra i parametri fondamentali per mantenere in salute il nostro corpo abbiamo letto che è fondamentale una buona salute mentale. Va da sé che una persona con una diagnosi di depressione, o disturbo bipolare o altra sofferenza mentale, abbia bisogno di avere un supporto specialistico che la aiuti ad affrontare il disturbo e a migliorare la qualità della vita.
Allora perché molte persone rifiutano di curarsi? Una delle tante risposte si trova nel fatto che soffrire di malattie psichiche è considerato ancora oggi uno stigma e che il paziente viene colpevolizzato e si trova a vivere in una società poco accogliente.
Essere “marchiati“, portare con sé e dentro di sé un’etichetta negativa, come se si fosse un prodotto tossico e non un essere umano, provocano un profondo senso di colpa che allontana il paziente dalle cure e lo porta ad isolarsi, aggravando così la sua condizione. Tra i fattori più gravi è importante sottolineare il ruolo dei familiari e della società che colpevolizzano il paziente accusandolo di poca volontà nel voler vivere una vita “allineata“, quando invece succede che in alcuni disturbi è proprio la volontà che viene schiacciata.
Non si può chiedere ad un individuo con un disturbo depressivo di sforzarsi, così come non si può chiedere ad un malato oncologico di non avere nausea o di non lamentarsi per il dolore fisico. Chi pensa che questo paragone sia ardito, è completamente avulso dal mondo della sofferenza mentale e da quello che comporta doverci convivere giorno dopo giorno. Non riconoscere il peso di una malattia mentale è un atteggiamento tanto grave quanto comune.
Stefano Pallanti, professore associato di Psichiatria all’Università di Firenze e docente di psichiatria e scienze del comportamento alla Stanford University (Usa), ha dichiarato: “Lo stigma è implicito nella parola “mentale” che ghettizza rispetto alle altre sofferenze del corpo. Oggi si parla più di disturbi della connettività, dei diversi modi di funzionamento dei circuiti cerebrali, di come sono collegate le diverse aree”.
“Ci sono barriere reali, per esempio chi prende certi psicofarmaci, è vero, può avere difficoltà a guidare. Ma succede anche che le assicurazioni, scritto in piccolo, neghino rimborsi per queste malattie e che per esempio in una causa di separazione uno dei partner getti davanti al giudice l’accusa: ma lei/lui, è stata/o in cura dallo psichiatra. Una cosa indegna, dunque, colpa, non malattia spesso curabile come un’altra“, ha aggiunto Pallanti.
Una responsabilità, secondo l’esperto, si può rintracciare anche nella comunità degli psichiatri: “L’Organizzazione mondiale della Sanità ha raccomandato di parlare di guarigione e di continuare la cura fino alla guarigione. Dunque fare diagnosi precise con prognosi precise, ove possibile. C’è chi ha avuto un episodio di un disturbo mentale vent’anni fa: è da considerare sempre malato? Ma tante altre malattie ritornano, a cominciare dall’influenza”.
“Così, per tutti i pregiudizi diffusi, le persone aspettano di stare molto male per andare dallo psichiatra e spesso, se non si parla di guarigione, si accontentano di un miglioramento, si adattano a stare meno male. Ma i disturbi di cui ci occupiamo non sono come l’Alzheimer, privo di una possibile remissione. La gente, per esempio, non sa che la maggioranza dei tossicodipendenti, se curati, smette”.
Massimo Biondi, direttore dell’unità di psichiatria e psicofarmacologia del Policlinico Umberto I di Roma e ordinario di psichiatria all’Università La sapienza, ha affermato: “Lo stigma è un punto chiave nel problema delle malattie mentali. È stato al centro di una direttiva dell’Organizzazione Mondiale della Sanità perché lo si combatta, è al centro dell’attività di tante associazioni di pazienti e dei loro famiglie. Ma si tratta di un atteggiamento riconosciuto e su cui si discute”.
“C’è un rifiuto, per esempio, per che chi soffre di depressione e ancor più di depressione bipolare, perché nella fase di mania il malato può avere comportamenti esagerati. Non parliamo poi dei disturbi psicotici come la schizofrenia: c’è l’emarginalizzazione. Può succedere, come è capitato, che un condominio non voglia tra i suoi inquilini un ragazzo schizofrenico anche se il caso è risolto o è stabile da tempo. Succede che se qualcuno in terapia incontra una nuova fidanzata o fidanzato non parli dei suoi problemi e questo aggrava la sua situazione, ma anche le difficoltà del rapporto“.
Andrea Fagiolini, direttore della clinica psichiatrica dell’Università di Siena, ha spiegato: “Lo stigma esiste. Ed esiste anche a livello della considerazione che il sistema sanitario ha per la nostra disciplina. C’è stigma perché le risorse allocate – in termini di percentuali del fondo sanitario destinate alla salute mentale – sono assai inferiori rispetto alle esigenze. C’è stigma inoltre perché un paziente a rischio di suicidio è difficilmente considerato come un paziente con un infarto in corso”.
“Non esiste uno specifico codice rosso per una malattia psichiatrica. Perché un paziente gravemente depresso è difficilmente considerato come un malato uscito da una chirurgia oncologica? Perché un paziente schizofrenico è difficilmente considerato come un paziente trapiantato? Eppure sono situazioni paragonabili, da un punto di vista medico. Abbiamo fatto tanto progressi e siamo grati ai colleghi che ci hanno aiutato. Ma la nostra disciplina è sempre lontana dallavere il livello di attenzione, considerazione e risorse che sarebbero necessarie“.
La terapia per combattere lo stigma di chi è colpito dalla sofferenza mentale è la conoscenza. Sapere e informarsi sulle dinamiche della sofferenza mentale è già una cura.