Negli ultimi anni, le app di social media come WhatsApp e Telegram sono diventate strumenti sempre più utilizzati per la propaganda politica, secondo un rapporto recente dell’Università di New York. Gli esperti hanno condotto un’indagine su 4.500 utenti di app di messaggistica in nove paesi e hanno intervistato strategisti politici in 17 nazioni, scoprendo che il 62% degli utenti ha ricevuto contenuti politici attraverso queste piattaforme.
Sorprendentemente, il 55% di queste informazioni proviene da persone sconosciute, rivelando la natura di rete aperta e disseminata delle comunicazioni su queste app. La mancanza di meccanismi tradizionali di moderazione dei contenuti rende WhatsApp e Telegram particolarmente vulnerabili alla disinformazione.
Come avviene propaganda sui social media?
Le caratteristiche monetizzate di questi social media permettono ai cattivi attori di amplificare i messaggi fuorvianti. Ad esempio, il WhatsApp Business Platform offre strumenti come la verifica del “segno verde” e messaggi automatici che consentono a operatori politici di raggiungere un vasto pubblico. Nonostante le politiche di WhatsApp affermino che i partiti politici non possono usare la piattaforma, gli utenti trovano modi per aggirare tali restrizioni. Analogamente, su Viber, i consulenti politici possono ottenere account verificati attraverso “partner” o venditori, lanciando così campagne sociali per attrarre abbonamenti non consentiti.
Le tattiche di disinformazione si basano spesso sul coinvolgimento di gruppi preesistenti, approfittando delle interazioni tra i membri per diffondere messaggi politici. Tecniche come gli “sock puppet” (falsi profili) sono particolarmente problematiche in contesti di messaggistica, poiché queste piattaforme offrono maggiore oscurità rispetto ai social media tradizionali. Gli operatori politici possono anche utilizzare la cross-posting, facendosi strada attraverso giri di messaggi che attraversano varie piattaforme, creando così “feedback loop” in cui le stesse informazioni rimbalzano tra diverse fonti.
Il suggerimento del report per evitare il problema
Per affrontare queste problematiche, il rapporto suggerisce una serie di raccomandazioni per le aziende di messaggistica, tra cui limiti alla creazione di account e controlli più rigorosi per le informazioni aziendali. Inoltre, invita i legislatori a includere le piattaforme di messaggistica crittografata nelle normative esistenti, senza compromettere la sicurezza degli utenti.
Riconoscendo che il valore della messaggistica criptata per i difensori dei diritti umani supera il rischio di disinformazione, il rapporto chiede una maggiore trasparenza sulle politiche delle piattaforme nei confronti della disinformazione, affinché possano diventare ambienti più sicuri per la comunicazione aperta e onesta.