Il declino cognitivo è una delle sfide più comuni legate all’invecchiamento, e questa realtà è particolarmente evidente nelle persone con sindrome di Down. A causa della presenza di una copia extra del cromosoma 21, questi individui sono più inclini alla neurodegenerazione, aumentando significativamente il rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer. Tuttavia, un recente studio di caso ha portato alla luce una situazione sorprendente: una donna statunitense con sindrome di Down ha mostrato tutti i segni fisici dell’Alzheimer, ma senza manifestare i sintomi cognitivi tipici della malattia.

Un caso straordinario: la donna con sindrome di Down che sfida l’Alzheimer
Questo caso ha suscitato grande interesse nella comunità scientifica, offrendo una preziosa opportunità per approfondire la comprensione delle manifestazioni della demenza. “Se riusciamo a identificare le basi genetiche o i fattori legati allo stile di vita che hanno permesso al suo cervello di funzionare bene nonostante la patologia, potremmo scoprire strategie che potrebbero essere utili ad altri”, afferma Elizabeth Head, neuroscienziata presso l’Università della California, Irvine. “Questo studio dimostra come la partecipazione di una sola persona alla ricerca possa portare a scoperte profonde”.
È noto che la maggior parte delle persone con sindrome di Down sviluppa i primi segni di demenza intorno ai 55 anni, e che il rischio aumenta drasticamente con l’età. Infatti, oltre i 60 anni, il 90% di questi individui mostra caratteristiche cliniche di declino cognitivo lieve o demenza conclamata. Proprio per questo motivo, nel 2015 è stato fondato l’Alzheimer Biomarker Consortium–Down Syndrome, con l’obiettivo di studiare i legami tra le due patologie, esaminando i marcatori fisici dell’Alzheimer nelle persone con trisomia 21.
La donna protagonista di questo studio di caso ha partecipato a due studi longitudinali finanziati dai National Institutes of Health degli Stati Uniti, fornendo un’ampia quantità di dati clinici e psicologici. Al momento dell’arruolamento nel consorzio, la sua condizione era già considerata straordinaria, poiché non mostrava segni di declino cognitivo nonostante avesse superato i 60 anni.
La speranza dei ricercatori è che lo studio di questo caso unico possa fornire nuove informazioni sulle manifestazioni dell’Alzheimer e aprire la strada a strategie di prevenzione e trattamento più efficaci. La comprensione dei fattori che hanno protetto questa donna dal declino cognitivo potrebbe rivelarsi fondamentale per aiutare altre persone con sindrome di Down e per la ricerca sull’Alzheimer in generale.
Marcatori biologici e assenza di sintomi
La storia di questa donna, affetta da sindrome di Down e con chiari segni fisici di Alzheimer, ma priva di declino cognitivo, rappresenta un caso unico e affascinante per la comunità scientifica. Al momento dell’arruolamento nel consorzio di ricerca, la donna aveva già partecipato a due studi longitudinali finanziati dai National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti, fornendo un’ampia mole di dati clinici e psicologici.
Decenni di test avevano confermato la presenza sia della sindrome di Down che di un livello intermedio di Alzheimer. Gli esami fisici rivelavano livelli elevati di amiloide nel cervello, rapporti distintivi di proteine nel liquido spinale e cambiamenti neurologici tipici della demenza. Tuttavia, una serie di test psicologici indicava che la mente della donna era rimasta acuta per tutto il periodo di osservazione. Nella sua vita quotidiana, la donna era autonoma, dedicandosi ad attività come cucinare e fare la spesa, senza mostrare segni di cambiamenti comportamentali o sociali.
“Prima della sua morte, tutte le valutazioni cliniche indicavano una stabilità cognitiva, rendendo questo caso particolarmente interessante”, afferma il ricercatore del consorzio Jr-Jiun Liou, neurologo dell’Università di Pittsburgh. “Nonostante la patologia cerebrale indicasse l’Alzheimer, riteniamo che la sua stabilità cognitiva potrebbe essere attribuita all’elevato livello di istruzione o a fattori genetici sottostanti.”
Nonostante un QI inferiore alla media, la donna aveva ricevuto un’istruzione privata durante l’infanzia e l’adolescenza, frequentando una scuola specializzata per studenti con disabilità intellettive. Dal punto di vista fisiologico, diversi fattori potrebbero aver contribuito alla resistenza del suo cervello alla neurodegenerazione. Tra questi, una potenziale “riserva” di tessuto cerebrale e la presenza di geni che favoriscono la gestione dell’accumulo di proteine danneggiate.
Un’altra possibile spiegazione risiede nella natura della sua trisomia. In alcuni casi, individui con caratteristiche della sindrome di Down presentano mosaicismo, una condizione in cui alcune cellule hanno il normale numero di cromosomi 21. Se questo fosse il caso, la distribuzione incompleta del terzo cromosoma 21 nel suo corpo potrebbe aver avuto un ruolo significativo.
Questo studio solleva interrogativi cruciali sulla relazione tra marcatori biologici dell’Alzheimer e manifestazioni cliniche della malattia. Sebbene il caso di questa donna sia unico, il suo percorso potrebbe fornire informazioni preziose per lo sviluppo di strategie volte a preservare le capacità cognitive nelle persone affette da Alzheimer. La comprensione dei meccanismi che hanno protetto il suo cervello potrebbe aprire nuove strade per la prevenzione e il trattamento della demenza.
Conclusioni
Il caso di questa donna con sindrome di Down e Alzheimer, ma senza declino cognitivo, rappresenta un enigma scientifico di grande rilevanza. La sua storia offre una prospettiva unica sulla complessità del morbo di Alzheimer e sulla sua interazione con la sindrome di Down.
La sfida principale per i ricercatori è ora quella di decifrare i meccanismi che hanno permesso al suo cervello di resistere alla neurodegenerazione, nonostante la presenza di marcatori biologici tipici dell’Alzheimer. L’identificazione di fattori genetici, ambientali o legati allo stile di vita che hanno contribuito a questa resilienza potrebbe aprire nuove strade per la prevenzione e il trattamento della demenza.
Questo caso sottolinea l’importanza della ricerca personalizzata e della partecipazione di individui unici agli studi scientifici. La speranza è che, attraverso l’approfondimento di casi come questo, si possano sviluppare strategie innovative per migliorare la qualità della vita delle persone affette da sindrome di Down e Alzheimer, e per combattere la demenza in generale.
La ricerca è stata pubblicata su Alzheimer’s & Dementia.