Un recente studio condotto da ricercatori del CHU Nîmes, dell’Université Montpellier e di numerosi centri per la SM in Francia ha portato alla luce risultati promettenti riguardo l’utilizzo del colecalciferolo (vitamina D3) nel trattamento della sclerosi multipla (SM) e della sindrome clinicamente isolata (CIS). La ricerca, pubblicata su riviste scientifiche di rilievo, ha dimostrato che la somministrazione orale di alte dosi di colecalciferolo (100.000 UI ogni due settimane) riduce significativamente l’attività della malattia in pazienti con CIS e SM recidivante-remittente precoce.

Sclerosi Multipla e Sindrome Clinicamente Isolata: una panoramica
La Sindrome Clinicamente Isolata (CIS) rappresenta il primo episodio di sintomi neurologici, di almeno 24 ore di durata, causati da infiammazione e demielinizzazione nel sistema nervoso centrale. Questo evento iniziale può manifestarsi con una varietà di sintomi, a seconda della zona del sistema nervoso centrale colpita, spaziando dalla neurite ottica, che coinvolge il nervo ottico, alla mielite trasversa, che interessa il midollo spinale, fino a disturbi di sensibilità, debolezza muscolare, problemi di equilibrio e visione doppia.
È fondamentale comprendere che, nonostante la CIS sia un segnale d’allarme che suggerisce la possibilità di sclerosi multipla (SM), non tutte le persone che sperimentano un episodio di CIS svilupperanno successivamente la SM. Alcuni individui potrebbero vivere questo singolo episodio senza mai manifestare ulteriori sintomi.
Esistono tuttavia fattori che aumentano il rischio di evoluzione della CIS in SM, come la presenza di bande oligoclonali nel liquido cerebrospinale, la presenza di lesioni alla risonanza magnetica cerebrale e l’età giovane all’esordio della CIS. Pertanto, la CIS è un evento neurologico significativo che richiede un’attenta valutazione medica per determinare il rischio individuale di sviluppare la SM.
La SM è una malattia autoimmune che colpisce il sistema nervoso centrale, manifestandosi attraverso episodi acuti che possono coinvolgere il nervo ottico (neurite ottica), il midollo spinale (mielite trasversa) o il tronco encefalico. La CIS rappresenta la fase iniziale della malattia, caratterizzata dalla presenza di segni neurologici suggestivi di SM, ma non sempre si evolve in SM clinicamente definita.
La carenza di vitamina D è stata identificata come un fattore di rischio per lo sviluppo della SM ed è associata all’attività della malattia. Tuttavia, i risultati di precedenti studi sull’integrazione di vitamina D sono stati contrastanti. Data la sua azione immunomodulante, la vitamina D è stata spesso utilizzata come terapia aggiuntiva all’interferone beta.
Il team di ricerca francese ha condotto uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, denominato D-Lay MS, per valutare la sicurezza e l’efficacia della vitamina D come monoterapia in pazienti con CIS non trattata. I risultati dello studio hanno evidenziato una significativa riduzione dell’attività della malattia nei pazienti trattati con colecalciferolo rispetto al gruppo placebo.
Questi risultati aprono nuove prospettive nel trattamento della SM e della CIS, suggerendo che la vitamina D potrebbe rappresentare una terapia efficace e sicura, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per confermare questi risultati e per determinare il dosaggio ottimale e la durata del trattamento con colecalciferolo.
Criteri di ammissibilità e disegno dello studio
Lo studio D-Lay MS ha reclutato adulti di età compresa tra 18 e 55 anni che avevano sperimentato un episodio di Sindrome Clinicamente Isolata (CIS) nei 90 giorni precedenti l’arruolamento. Un criterio fondamentale era la presenza di livelli sierici di vitamina D inferiori a 100 nmol/L, indicando una potenziale carenza. Inoltre, i partecipanti dovevano presentare evidenza di disseminazione nello spazio, confermata dalla risonanza magnetica (RM) o dalla presenza di almeno due lesioni cerebrali combinate con bande oligoclonali positive nel liquido cerebrospinale.
Un totale di 316 partecipanti, rispondenti a questi criteri, sono stati assegnati in modo casuale (randomizzati) in un rapporto 1:1 a ricevere colecalciferolo orale ad alto dosaggio (100.000 UI) o un placebo corrispondente. Il trattamento è stato somministrato ogni due settimane per un periodo di 24 mesi. L’esito primario valutato era l’attività della malattia, definita come la prima ricaduta clinica o la comparsa di nuove lesioni alla RM con evidenza di attività infiammatoria (con contrasto).
Dei 316 partecipanti randomizzati, 303 (156 nel gruppo vitamina D e 147 nel gruppo placebo) hanno ricevuto almeno una dose del trattamento assegnato. Un numero significativo di partecipanti, 288, ha completato l’intero periodo di follow-up di 24 mesi.
L’attività della malattia è stata osservata in 94 dei 156 pazienti (60,3%) trattati con vitamina D, rispetto a 109 dei 147 pazienti (74,1%) trattati con placebo. Questo risultato si traduce in un hazard ratio (HR) di 0,66, indicando una riduzione del 34% del rischio di attività della malattia nel gruppo vitamina D. Inoltre, il tempo mediano all’attività della malattia è stato significativamente più lungo nel gruppo vitamina D (432 giorni) rispetto al gruppo placebo (224 giorni).
Questi risultati suggeriscono che l’integrazione di vitamina D ad alte dosi può avere un effetto benefico nel ritardare l’attività della malattia in pazienti con CIS. Tuttavia, è importante notare che la maggioranza dei pazienti in entrambi i gruppi ha comunque sperimentato attività della malattia durante il periodo di studio. Questo indica che la vitamina D potrebbe non essere sufficiente come monoterapia per prevenire completamente la progressione della malattia.
Ulteriori ricerche sono necessarie per confermare questi risultati e per valutare l’efficacia della vitamina D in combinazione con altre terapie. Inoltre, è fondamentale considerare che l’integrazione di vitamina D ad alte dosi deve essere sempre supervisionata da un medico per evitare potenziali effetti collaterali.
Oltre all’esito primario che ha evidenziato una riduzione dell’attività clinica della malattia, lo studio ha approfondito l’analisi attraverso la risonanza magnetica (RM), rivelando risultati secondari altrettanto significativi. L’attività complessiva rilevata tramite RM, che include la comparsa di nuove lesioni e l’aumento di dimensioni di quelle esistenti, è risultata inferiore nel gruppo trattato con vitamina D rispetto al gruppo placebo, indicando una riduzione del 29% dell’attività complessiva.
Allo stesso modo, la formazione di nuove lesioni T2 o l’espansione di quelle esistenti è stata significativamente ridotta nel gruppo vitamina D, con una diminuzione del 39%. Infine, la presenza di lesioni con contrasto, indicative di attività infiammatoria in corso, è stata notevolmente inferiore nel gruppo vitamina D, evidenziando una riduzione del 53% dell’attività infiammatoria rilevata alla RM.
Questi risultati rafforzano l’evidenza che il colecalciferolo orale ad alto dosaggio può esercitare un impatto significativo nel ridurre l’attività della malattia nella CIS e nella SM recidivante-remittente precoce. La riduzione sia dell’attività clinica che dell’attività rilevata alla RM suggerisce un potenziale effetto neuroprotettivo della vitamina D, limitando il danno infiammatorio nel sistema nervoso centrale.
Gli autori dello studio sottolineano l’importanza di proseguire la ricerca per esplorare il potenziale della vitamina D come terapia aggiuntiva, in particolare attraverso la somministrazione di vitamina D ad alto dosaggio pulsata. Inoltre, evidenziano che la vitamina D ad alto dosaggio potrebbe rappresentare un’opzione terapeutica economicamente accessibile e ben tollerata, specialmente in contesti in cui l’accesso alle terapie standard modificanti la malattia è limitato.
In particolare, viene raccomandato di condurre ulteriori studi sulla terapia aggiuntiva con vitamina D, con un’attenzione particolare ai pazienti con grave carenza iniziale di vitamina D, al fine di valutare se questi pazienti possano trarre un beneficio maggiore dall’integrazione.
Sclerosi multipla in Italia: un’analisi approfondita dell’incidenza e dell’impatto
La sclerosi multipla rappresenta una delle patologie neurodegenerative di maggiore rilevanza nel panorama sanitario italiano, esercitando un impatto significativo sulla qualità della vita delle persone che ne sono affette. La comprensione dettagliata dell’incidenza, della prevalenza e dei fattori di rischio associati a questa malattia è fondamentale per ottimizzare le strategie di gestione e migliorare il supporto ai pazienti.
In Italia, si stima che oltre 133.000 persone convivano con la sclerosi multipla, come riportato dai dati forniti dall’associazione italiana sclerosi multipla (aism). La prevalenza media della malattia si attesta intorno ai 215 casi ogni 100.000 abitanti, sebbene si osservino variazioni significative tra le diverse regioni del territorio nazionale. Ogni anno, vengono diagnosticati circa 3.600 nuovi casi di sm, con una maggiore incidenza nella popolazione giovane adulta, in particolare nella fascia d’età compresa tra i 20 e i 40 anni. Si evidenzia, inoltre, una maggiore frequenza della malattia nelle donne, con un rapporto di circa 2-3 donne per ogni uomo.
La Sardegna si distingue per la prevalenza più elevata di sm in Italia, superando i 400 casi ogni 100.000 abitanti. Anche altre regioni italiane presentano tassi di prevalenza elevati, sebbene inferiori a quelli della Sardegna. Queste variazioni regionali possono essere attribuite a una combinazione di fattori genetici, ambientali e legati allo stile di vita.
Oltre alla Sardegna, che spicca per la sua altissima prevalenza di sclerosi multipla (SM) in Italia, si osserva una tendenza generale a una maggiore incidenza della malattia nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali. Questa distribuzione potrebbe essere attribuita a una complessa interazione di fattori genetici e ambientali. In particolare, il Veneto e la Lombardia emergono come regioni del nord Italia dove i dati di prevalenza superano la media nazionale. Spostandoci verso il centro del paese, la Toscana si distingue come un’altra area in cui si riscontrano tassi di incidenza superiori alla media italiana.
La predisposizione genetica rappresenta un fattore di rischio significativo per lo sviluppo della sm. Inoltre, diversi fattori ambientali sono stati associati a un aumento del rischio, tra cui la carenza di vitamina d, l’esposizione a determinati virus e il fumo di sigaretta. Essendo la sm una malattia autoimmune, anche i fattori immunologici svolgono un ruolo cruciale nella sua patogenesi, con il sistema immunitario che attacca erroneamente il sistema nervoso centrale.
La sclerosi multipla può avere un impatto profondo sulla qualità della vita delle persone affette, causando disabilità fisiche e cognitive che influenzano il lavoro, le relazioni sociali e le attività quotidiane. Tale impatto si estende anche ai familiari e ai caregiver dei pazienti. La ricerca sulla sm è in continua evoluzione, con l’obiettivo di approfondire la comprensione delle cause della malattia e sviluppare terapie sempre più efficaci. Gli studi epidemiologici svolgono un ruolo essenziale nel monitorare l’andamento della malattia e identificare i fattori di rischio, contribuendo così a migliorare la gestione e il supporto ai pazienti.
È fondamentale sottolineare che l’integrazione di vitamina D deve essere sempre supervisionata da un medico, in quanto dosaggi elevati possono comportare rischi per la salute. Questo articolo ha scopo puramente informativo e non sostituisce il parere di un professionista sanitario.
È importante tenere presente che i dati epidemiologici possono variare nel tempo e che la ricerca continua a fornire nuove informazioni. Pertanto, è sempre consigliabile consultare fonti aggiornate come l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM) e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) per informazioni più precise e recenti.
Lo studio è stato pubblicato su JAMA.