All’inizio di giugno 2024 i ricercatori hanno registrato un nuovo record: 38 milioni di tonnellate di sargasso sono state avvistate mentre si dirigevano verso i litorali dei Caraibi, del Golfo del Messico e del Nord del Sud America e non è solo un dato impressionante: è un fenomeno che ha ripercussioni reali sul turismo, sugli ecosistemi costieri e sull’economia locale.

Durante l’estate queste alghe brune galleggianti si accumulano sulle spiagge, si decompongono e rilasciano un odore acre, rendendo inagibili tratti di costa. Eppure, lontano dalle spiagge, il Sargasso è un habitat importante: offre riparo e nutrimento a molti organismi marini.
Ma allora perché le fioriture stanno aumentando così tanto?
Una nuova ricerca pubblicata su Nature Geoscience e guidata dal Max Planck Institute for Chemistry fornisce finalmente una risposta convincente.
Un gigantesco nastro di alghe: il Great Atlantic Sargassum Belt
Dal 2011 gli scienziati monitorano un’enorme fascia di Sargasso che attraversa l’Atlantico: il Great Atlantic Sargassum Belt. Si forma nell’area del Mar dei Sargassi e viene spinto verso ovest dai venti tropicali.

Finora c’erano due ipotesi principali sui nutrienti che alimentano questa crescita:
- deflusso agricolo dall’Amazzonia
- nutrienti rilasciati dalla deforestazione tropicale
Entrambe però non spiegavano l’aumento costante degli ultimi anni.
La svolta: l’upwelling equatoriale e i cianobatteri “alleati” delle alghe
Il nuovo studio identifica un meccanismo molto più coerente:
- Vicino all’equatore, forti venti sollevano acque profonde ricche di fosforo.
- Queste acque vengono trasportate verso i Caraibi.
- Il fosforo in eccesso favorisce i cianobatteri che vivono sulla superficie del Sargasso.
- I cianobatteri fissano l’azoto atmosferico e lo trasformano in una forma utilizzabile dalle alghe.

Risultato:
- le alghe ricevono fosforo dal mare
- e azoto dai loro batteri simbionti
Un “turbo biologico” che spiega la rapida crescita degli ultimi anni.
Coralli come archivi naturali: 120 anni di dati climatici
Una parte interessante del lavoro è il metodo. Il team ha utilizzato carote di corallo raccolte in tutto il Mar dei Caraibi, sfruttandole come veri e propri registratori naturali dei cambiamenti del mare.
I coralli incorporano ogni anno isotopi chimici dalle acque circostanti. In questo caso, gli scienziati hanno analizzato il rapporto tra gli isotopi dell’azoto (¹⁵N e ¹⁴N), che cambia quando i batteri fissano più azoto.
- Rapporto ¹⁵N/¹⁴N basso – molta fissazione dell’azoto – forte crescita del Sargasso.
Grazie anche a campioni moderni raccolti dalla nave Eugen Seibold, gli isotopi dei coralli sono stati calibrati correttamente, ottenendo un archivio affidabile degli ultimi 120 anni.
Dal 2011 biomassa e fissazione dell’azoto salgono in parallelo
Un dato chiave: dal 2011 in poi, l’aumento della fissazione dell’azoto e la crescita della biomassa del Sargasso procedono di pari passo. Questo coincide con il trasporto massiccio di alghe dal Mar dei Sargassi all’Atlantico tropicale nel 2010.

Una volta escluse altre ipotesi (polvere sahariana, nutrienti dai grandi fiumi sudamericani) resta un unico fattore credibile: fosforo in eccesso sollevato dalle acque profonde equatoriali.
Prevedere il futuro: come il clima influenzerà le prossime fioriture
Lo studio evidenzia che l’arrivo di queste acque ricche di fosforo dipende da specifici pattern climatici:
- Temperature più basse nel Nord Atlantico tropicale
- Temperature più alte nell’emisfero sud
- Differenze che modificano i venti e favoriscono il sollevamento delle acque profonde
Monitorando:
- vento
- temperatura superficiale del mare
- intensità dell’upwelling
si potranno ottenere previsioni migliori, utili sia alle autorità costiere sia ai centri turistici.
Il gruppo del Max Planck Institute sottolinea però un punto fondamentale: “Il futuro del Sargasso dipenderà da come il riscaldamento globale influenzerà i processi che determinano la risalita di acque ricche di fosforo.”
Perché dovrebbe interessare anche chi si occupa di tecnologia?
Perché questo studio unisce:
- modelli climatici
- analisi isotopiche
- ricostruzioni storiche tramite biomineralizzazione
- sensori oceanografici e dataset satellitari
È un esempio perfetto di come geochimica, climatologia e dati ambientali convergano in una ricerca che ha effetti concreti su turismo, ecosistemi e gestione costiera.
Ed è anche un caso emblematico di come l’accesso a dati di lunga durata (in questo caso, i coralli) possa migliorare drasticamente le capacità predittive in campo ambientale.