I ricercatori del FAU Harbor Branch Oceanographic Institute (Florida Atlantic University) hanno pubblicato una revisione scientifica che segna un punto di svolta nello studio dei sargassi pelagici: alghe brune galleggianti che, da “curiosità” marina, sono diventate un problema globale.

Un tempo considerate confinate nel Mar dei Sargassi, oggi queste alghe sono sempre più diffuse e in continua crescita. La loro espansione è legata non solo ai processi naturali, ma soprattutto all’arricchimento di nutrienti causato dall’uomo: scarichi agricoli, reflui fognari e persino deposizione atmosferica.
Il Grande Cinturone Atlantico di Sargasso (GASB)
Dal 2011, salvo un’eccezione nel 2013, si forma quasi ogni anno un’immensa fascia di alghe che si estende dall’Africa occidentale fino al Golfo del Messico. A maggio ha raggiunto un nuovo record: 37,5 milioni di tonnellate di biomassa, a cui si aggiungono altri 7,3 milioni di tonnellate storicamente presenti nel Mar dei Sargassi.
Queste fioriture massicce provocano spiaggiamenti, costi enormi per le pulizie, danni al turismo e perfino rischi sanitari. Non mancano episodi critici, come la chiusura di emergenza di una centrale nucleare in Florida nel 1991, causata dall’intasamento degli impianti di raffreddamento.
Cosa sta succedendo davvero?
Gli studi mostrano che:
- Il sargasso cresce molto più velocemente in acque ricche di nutrienti.
- Le due specie principali possono raddoppiare la biomassa in 11 giorni in condizioni ottimali.
- Negli ultimi 40 anni il contenuto di azoto nelle alghe è aumentato di oltre il 50%, mentre il fosforo è diminuito leggermente.
- Il rapporto Azoto/Fosforo (N:P) è salito alle stelle, segno chiaro dell’influenza dell’uomo.
Anche il fiume Amazzoni contribuisce al fenomeno: le variazioni di biomassa sono state collegate ai cicli di piena e siccità del bacino amazzonico.
Perché ci riguarda
Il problema non è solo ecologico: i sargassi incidono su pesca, turismo e salute pubblica. Le comunità costiere si trovano a dover gestire montagne di alghe in decomposizione, con odori pestilenziali e emissioni nocive.

Come spiega il professor Brian Lapointe, autore principale della revisione: “Capire perché i sargassi stiano crescendo così tanto è fondamentale per gestirne gli impatti. I nostri studi collegano l’inquinamento terrestre da nutrienti, la circolazione oceanica e l’espansione senza precedenti di queste alghe in tutto l’Atlantico.”
E adesso?
Secondo gli autori, serve un impegno internazionale coordinato: monitoraggio costante, gestione degli scarichi e una maggiore consapevolezza sull’impatto che le nostre attività a terra hanno sugli oceani.
