Quando Julian Lozos, sismologo della California State University di Northridge, visitò il sito dei terremoti di Ridgecrest nel 2019, rimase colpito da un dettaglio insolito: rocce, ciottoli e massi erano stati spostati dal terremoto, ma senza lasciare tracce di trascinamento sul terreno desertico ed è un fenomeno già osservato in altre zone sismiche caratterizzate dalla particolare geometria delle faglie, detta “stepover”, dove i segmenti di faglia sono sfalsati con un piccolo “gradino” o separazione.
Terremoti e rocce “volanti”, ecco la scoperta
Ora, Lozos e i suoi colleghi hanno trovato una spiegazione. Durante il convegno annuale della Seismological Society of America, il ricercatore ha presentato prove che mostrano come la rottura sismica all’interno di uno stepover possa generare un’accelerazione del suolo così intensa da superare la forza di gravità, proiettando letteralmente i massi in aria.
“In questi casi si vede un buco nel terreno a forma di masso, e il masso lì accanto, ma senza nessun segno che sia stato trascinato,” ha spiegato Lozos.

Secondo lo studio, il fortissimo scuotimento è estremamente localizzato: riguarda solo l’area dello stepover e si estende per meno di un chilometro ai lati della faglia e in altri grandi terremoti, come quello di Northridge del 1994 o quello di Christchurch del 2011, sono state registrate accelerazioni ancora maggiori, ma su aree molto più vaste.
Discutendo delle osservazioni a Ridgecrest, Lozos e Sinan Akçiz, professore alla California State University di Fullerton, si sono resi conto che fenomeni simili si erano già verificati durante il terremoto di El Mayor-Cucapah nel 2010.
Per approfondire, i due ricercatori hanno modellato una regione di stepover “classica”, con faglie parallele che si sovrappongono leggermente ma sono separate perpendicolarmente. Scopo del lavoro: capire se fosse proprio la geometria dello stepover (e non le caratteristiche specifiche di un singolo evento sismico) a provocare uno scuotimento tanto violento.

I risultati di questo curioso studio
I risultati sono chiari: la geometria è decisiva, soprattutto nelle rotture più lente. Se in una faglia “normale” la rottura si esaurisce gradualmente man mano che lo stress sismico si rilascia, in uno stepover accade qualcosa di diverso; la rottura arriva improvvisamente alla fine del segmento, ma non alla fine dello stress accumulato: è come se l’energia sismica si schiantasse contro un muro invisibile, sprigionando una violenza localizzata.

Il fenomeno non si osserva, invece, nei terremoti supershear, dove la rottura viaggia più veloce della velocità del suono: in quel caso, la geometria dello stepover sembra non influenzare l’intensità dello scuotimento.
Secondo i ricercatori, questi risultati hanno implicazioni importanti per le previsioni del rischio sismico: nelle zone con geometrie di faglia complesse, i modelli dovranno tenere conto di movimenti del suolo molto più violenti e localizzati rispetto a quanto si pensava finora.