Robot al centro di uno studio italiano coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, collaborando con l’Istituto Italiano di Tecnologia (lit), le Università Sapienza di Roba, Campus Bio-Medico di Roma, Ca’Foscari Venezia e al Centro di Competenza ARTES 4.0. Il team ha recentemente pubblicato un articolo su Nature Machine Intelligence dove rivelano come rendere un essere artificiale più sensibile, come un essere umano, attraverso una speciale pelle Hi-Tech. Bisogna tener conto del fatto che per noi umani la pelle non funge solo come protezione, ma anche come ricettacolo di varie informazioni. Basti pensare al tatto, per esempio, che riesce a farci capire quanto una cosa sia solida, ruvida, viscida e tanto altro.
Non è un caso quando i bambini, specialmente se neonati, la prima cosa che fanno è toccare; crescendo l’esplorazione non è del tutto finita, ma si trasforma. Quante volte hai capito il carattere di una persona con la sola stretta di mano? Ed è proprio questo l’esempio portato nello studio, dove l’essere in questione riesce a capire la differenza tra una stretta di mano e un semplice gesto, stringendo a sua volta la sua. Tutto grazie a questa speciale pelle che rende i robot più collaborativi e utili nel mondo dell’assistenza o pensati per essere utilizzati all’interno di varie lavorazioni manuali.
Robot sempre più umani, per migliorare la propria vita
Ovviamente lo studio non riguarda solo questa geniale pelle Hi-Tech, in quanto è stato necessario fondere intelligenza fisica con l’intelligenza artificiale. Un connubio di informazioni che rende il risultato al limite dell’umano. Tutto ciò è stato reso possibile grazie ad alcuni sensori posizionati ad una certa distanza l’uno dall’altro, ad un livello tale di profondità che non viene impedito alcun tipo di comunicazione. Una volta avviati i sensori, l’AI comincia a processare le informazioni, interpretandoli.
“Per la prima volta abbiamo dimostrato la capacità di sensorizzare un’area estesa e dalla geometria complessa che copre tutto l’arto robotico, grazie a sensori che offrono una raffinata risoluzione nella localizzazione del punto di contatto e nella misura dell’intensità della forza con cui il robot interagisce con l’ambiente. Questa capacità è la stessa che permette alla nostra pelle di riconoscere e seguire una formica che ci cammina sul braccio: un’abilità che aiuterà i robot a interagire in maniera sempre più sicura con gli umani, gli oggetti e l’ambiente circostante, nell’industria 4.0 così come negli ospedali e nelle nostre case” ha spiegato Calogero Oddo, professore presso l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna.