Un robot non è più solo una macchina: quando collabora con te in un compito pratico, la sua mano può diventare, almeno per il cervello, un’estensione della tua. È quanto dimostra una nuova ricerca pubblicata su iScience e coordinata dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, che apre prospettive interessanti per la progettazione di sistemi robotici destinati a lavorare a stretto contatto con gli esseri umani.
Quando la mano del robot diventa “mano vicina”
Gli scienziati hanno verificato che il fenomeno del near-hand effect (effetto della mano vicina), normalmente osservato tra due persone, si attiva anche quando uno degli attori è un robot umanoide. In pratica, se la mano di un assistente meccanico si avvicina a un oggetto, il nostro cervello modifica l’attenzione visiva e prepara l’azione, proprio come se fosse una mano umana. Questo porta a percepire il robot come parte del proprio schema corporeo.
L’esperimento con iCub
Per dimostrarlo, i ricercatori hanno messo alla prova iCub, l’umanoide sviluppato all’IIT. In uno degli esperimenti, un volontario e il robot hanno collaborato per tagliare una saponetta con un filo d’acciaio. Risultato? Solo chi ha collaborato attivamente con iCub, e lo ha percepito come un partner competente e affidabile, ha integrato la sua mano nello schema corporeo, trattandola come “mano vicina”.
Collaborazione che cambia la percezione

La chiave è l’interazione: il cervello non estende il corpo a qualsiasi oggetto o robot, ma lo fa quando percepisce la macchina come alleata e parte di un compito condiviso. Questo mix di processi inconsci e stimoli esterni porta a una rappresentazione estesa del corpo, utile non solo per evitare ostacoli e afferrare oggetti al volo, ma anche per costruire un rapporto naturale con la tecnologia.
Impatti sulla robotica del futuro
Lo studio, nato dalla collaborazione tra l’IIT e la Brown University di Providence (USA) con la guida di Alessandra Sciutti e Joo-Hyun Song, è stato finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca. Le implicazioni sono enormi: se i robot vengono percepiti come parti del corpo, la loro progettazione potrà orientarsi a favorire questo tipo di integrazione. Pensiamo alla riabilitazione motoria, dove un paziente potrà collaborare con un braccio robotico non come strumento esterno, ma come estensione naturale di sé.
Dalla fantascienza alla vita quotidiana
Questa ricerca porta più vicina un’idea che sembrava da romanzo sci-fi: macchine capaci non solo di assistere, ma di fondersi con la nostra percezione corporea. Una trasformazione che cambierà il modo in cui viviamo la tecnologia, non più fredda e distante, ma parte attiva e percepita del nostro corpo.