Cosa succede quando metti un’artista visiva in mezzo a un laboratorio di fisica quantistica? No, non è l’inizio di una barzelletta, ma il cuore di uno degli esperimenti più affascinanti del momento. È qui che Serena Scapagnini porta l’arte contemporanea nel cuore della scienza. Succede al Yale Quantum Institute, negli Stati Uniti, dove ogni anno un’artista in residenza esplora quel confine sempre sfuggente tra cultura umanistica e scientifica.
Nel 2025, la protagonista di questa avventura è Serena Scapagnini, artista visiva e storica dell’arte italiana, che al momento sta lavorando su un tema tutt’altro che banale: la memoria, vista sia dal punto di vista umano che da quello quantistico.
Un laboratorio quantistico come atelier creativo

Sì, hai letto bene: un laboratorio quantistico. Quello dove si studiano qubit, entanglement e superposizione, roba che di solito si vede solo nei paper con tre livelli di formule in calce. Eppure, Serena si muove tra banchi ottici e strumenti di misurazione come se fossero tele e colori.
Nel podcast Physics World Stories, condotto da Andrew Glester, Serena racconta come sta usando la fisica quantistica per interrogarsi sulla memoria, sulla sua fragilità, sulle sue trasformazioni nel tempo. È un viaggio interdisciplinare, fatto di installazioni, progetti visivi, materiali che parlano sia il linguaggio dell’arte che quello della scienza.
La visione di Florian Carle: razzi, teatro e quanti
Ma un progetto così non nasce da solo. A renderlo possibile è anche Florian Carle, direttore del Yale Quantum Institute e mente dietro la residenza artistica. Ex ingegnere aerospaziale con una passione mai sopita per il teatro, Carle è convinto che l’arte possa dare una spinta inedita alla divulgazione e alla comprensione delle idee quantistiche.
Per lui, musica, arti visive e performance sono strumenti potenti per raccontare concetti che altrimenti resterebbero confinati nelle riviste specializzate. E infatti, nel podcast si ascoltano anche tracce musicali ispirate alla fisica quantistica, frutto di queste stesse contaminazioni.
Quando il qubit diventa metafora
Il lavoro di Serena non è solo estetica: è anche riflessione. La memoria quantistica non è stabile né lineare come quella a cui siamo abituati. Un qubit può esistere in più stati contemporaneamente, può “dimenticare” o “ricordare” in modi che sfidano la logica classica. E Serena prende tutto questo come metafora per raccontare anche la fragilità della memoria umana, le sue sovrapposizioni, i suoi buchi, i suoi ricordi falsi o sfumati.
Il risultato? Un progetto artistico che ha poco a che fare con la decorazione o la rappresentazione scientifica, e molto con l’esperienza, con l’incertezza, con l’atto di ricordare come processo creativo e instabile.
Arte e scienza: due mondi in entanglement
Il bello è che queste residenze non sono isolate. Sempre più istituti scientifici stanno aprendo le porte agli artisti, non per “abbellire” i loro spazi, ma per far nascere nuove domande. Domande che nessuno dei due mondi, da solo, saprebbe nemmeno formulare.
Se anche tu ti sei mai chiesto come spiegare l’entanglement a parole semplici, forse la risposta non è una definizione. Forse è un quadro, una performance, una serie di luci che si accendono e si spengono seguendo una logica non immediata ma intuitivamente profonda.
E magari il prossimo passo della comunicazione scientifica sarà proprio questo: non dire, ma mostrare. Non semplificare, ma coinvolgere.
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