Alcuni sport sono molto fisici, ad esempio il football americano, il rugby, l’MMA e il pugilato, e purtroppo tra gli atleti può anche capitare che qualcuno abbia una commozione cerebrale, anche lieve, e ne venga a conoscenza quando ormai è troppo tardi.
La diagnosi di una commozione cerebrale dipende da un’attenta valutazione dei sintomi; ad oggi la più grande scoperta sulle commozioni cerebrali legate allo sport indica che alcune proteine nel sangue raggiungono livelli elevati dopo una commozione cerebrale.
Per arrivare a questa scoperta, i ricercatori hanno prelevato dei campioni di sangue prima e dopo l’infortunio di 264 atleti di un college che hanno avuto commozioni cerebrali mentre giocavano a calcio, rugby e altri sport da contatto dal 2015 a metà 2018, scoprendo che i livelli ematici di tre proteine erano più alti di quanto non fossero prima della lesione.
Ognuna delle tre proteine può servire come segnale del fatto che si è verificato un danno a un diverso tipo di cellula cerebrale, afferma Michael McCrea, neuropsicologo del Medical College of Wisconsin a Milwaukee. La proteina acida fibrillare della glia viene rilasciata in risposta a lesioni alle cellule gliali, che forniscono supporto alle cellule nervose nel cervello. L’ubiquitin C-terminal hydrolase-L1 segnala che le cellule nervose sono state ferite e la tau è un segno di danno agli assoni, responsabili della trasmissione degli impulsi nervosi.
Il team di McCrea ha anche misurato queste proteine in 138 atleti che hanno praticato sport di contatto ma non sono stati colpiti, e in 102 atleti che non hanno avuto l’infortunio e hanno praticato sport senza contatto. I livelli di proteine per questi due gruppi sono rimasti stabili durante lo studio e, a detta di McCrea, se ci fosse stata una variazione nei livelli di proteine negli atleti non colpiti, avrebbe minato l’associazione tra le proteine e la commozione cerebrale.
Ecco le commozioni cerebrali più nel dettaglio
Le lesioni traumatiche al cervello, o commozioni cerebrali, possono derivare da un colpo alla testa in caso di cadute, incidenti stradali o durante lo sport e possono variare da gravi a lievi. Le commozioni legate allo sport sono considerate lievi lesioni cerebrali traumatiche, e si stima che 10.560 commozioni cerebrali legate allo sport siano segnalate dagli atleti universitari negli Stati Uniti ogni anno, secondo uno studio dell’American Journal of Sports Medicine del 2015.
Una persona che soffre di una commozione cerebrale generalmente manifesta uno o più dei seguenti sintomi: mal di testa, nausea, vertigini, confusione e una breve perdita di coscienza. Ma i sintomi fisici potrebbero non sempre chiarire la diagnosi; un mal di testa dopo un tackle potrebbe non essere necessariamente un segno di commozione cerebrale, quindi i ricercatori hanno cercato segnali chimici, chiamati biomarcatori, che potrebbero aiutare a rivelare quando si è verificata una commozione cerebrale.
Ci vorrà molto più lavoro prima che i biomarcatori a commozione cerebrale siano pronti per l’uso in clinica o sul campo, afferma McCrea, c’è da determinare quale combinazione di proteine sia collegata in modo più affidabile alla lesione e come testarla rapidamente.
La neurologa Juliana VanderPluym, studiosa della Mayo Clinic di Phoenix in Arizona, non coinvolta nello studio, afferma:
“L’obiettivo di un biomarker è fornire un indicatore riproducibile e accurato di uno stato medico”.
Aggiunge inoltre:
“È importante considerarli come un aiutante, e non necessariamente come il determinante finale di una diagnosi. Ad esempio, se un atleta viene affrontato in una partita e segnala sintomi che suggeriscono una commozione cerebrale, ma ha livelli normali di queste proteine, dovrebbe essere permesso a quell’atleta di tornare in partita? Queste sono domande che dovremo affrontare prima che i biomarcatori entrino a far parte della pratica clinica”.
Come ha suggerito la dottoressa, questa è una situazione che potrebbe stravolgere in positivo il mondo dello sport, soprattutto se si pensa che l’80% dei partecipanti allo studio erano atleti di sesso maschile, nonostante, secondo uno studio del 2016 sul Journal of Athletic Training, le atlete abbiano un tasso più alto di commozioni cerebrali rispetto ai maschi e possano anche manifestare sintomi più gravi dopo un colpo alla testa, oltre a sperimentare, ovviamente, danni peggiori al cervello.