Per centinaia di milioni di anni l’universo è rimasto immerso nell’oscurità. Dopo il Big Bang esistevano solo gas primordiale e materia oscura, senza alcuna fonte di luce. Poi sono nate le prime stelle, eventi fisici estremi che hanno acceso l’alba cosmica e avviato l’evoluzione dell’universo.
Oggi un nuovo studio suggerisce che quelle prime luci potrebbero non essere più solo un’ipotesi teorica. Le osservazioni del James Webb Space Telescope puntano verso una galassia lontanissima che mostra segnali compatibili con la nascita delle prime stelle dopo il Big Bang.
Una galassia osservata quando l’universo era giovanissimo

La galassia al centro dello studio si chiama Lap1-b. La sua distanza supera i 13 miliardi di anni luce, valore che permette di osservarla in un’epoca in cui l’universo aveva appena poche centinaia di milioni di anni. Guardare Lap1-b significa osservare il passato profondo, in una fase in cui le strutture cosmiche stavano appena prendendo forma.
Questa osservazione è stata possibile grazie alla combinazione tra la sensibilità infrarossa del James Webb e la lente gravitazionale, un effetto naturale che amplifica la luce di oggetti estremamente lontani sfruttando la curvatura dello spazio-tempo prodotta dalla gravità.
Lo studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters
I risultati arrivano da uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, una delle riviste scientifiche più autorevoli nel campo dell’astrofisica. La ricerca è stata condotta da un team internazionale coordinato dall’Università di Toledo, con Eli Visbal come autore principale.
Secondo gli autori, gli oggetti osservati in Lap1-b rispettano le condizioni previste dai modelli teorici per le stelle di Popolazione III, le prime stelle mai formatesi nell’universo.
Cosa sono le stelle di Popolazione III
Le stelle di Popolazione III rappresentano una categoria mai osservata in modo diretto prima d’ora. A differenza delle stelle moderne, non contenevano elementi pesanti come carbonio, ossigeno o ferro. Erano composte quasi esclusivamente da idrogeno ed elio, gli unici elementi presenti subito dopo il Big Bang.
Questa composizione rendeva tali stelle molto diverse dal Sole. I modelli indicano astri enormi, instabili e con una vita breve, capaci di produrre i primi elementi pesanti attraverso le loro esplosioni finali.
I tre indizi che collegano Lap1-b alle prime stelle
Gli astronomi hanno identificato tre caratteristiche chiave che rafforzano l’ipotesi della presenza delle prime stelle dopo il Big Bang.
Il primo indizio riguarda l’ambiente di formazione. Le stelle sembrano nate all’interno di un alone di materia oscura con una massa pari a circa 50 milioni di volte quella del Sole, valore coerente con le simulazioni dell’universo primordiale.
Il secondo indizio è legato alla massa stellare. Le analisi suggeriscono astri estremamente massicci, con valori compresi tra 10 e 1.000 masse solari. Questo tipo di stelle non può formarsi nelle condizioni attuali dell’universo, ma è previsto nelle prime fasi cosmiche.
Il terzo indizio riguarda la distribuzione. Gli oggetti osservati non formano grandi galassie mature, ma piccoli gruppi stellari, una configurazione tipica delle prime strutture luminose.
La composizione chimica del gas nell’universo primordiale

Un elemento decisivo arriva dall’analisi del gas che circonda Lap1-b. La sua composizione risulta dominata quasi completamente da idrogeno ed elio, con tracce minime di litio. Mancano segnali evidenti di elementi più pesanti.
Questo dato è compatibile con un universo molto giovane, nel quale pochissime stelle erano già esplose rilasciando nuovi elementi nello spazio. È una firma chimica che rafforza l’ipotesi di un’epoca immediatamente successiva al Big Bang.
Il ruolo del James Webb nella scoperta delle prime stelle
Il James Webb Space Telescope è progettato per osservare l’universo nell’infrarosso, la banda in cui la luce delle galassie antiche viene spostata a causa dell’espansione cosmica. Questa caratteristica lo rende lo strumento ideale per studiare l’alba cosmica.
Nel caso di Lap1-b, Webb ha sfruttato anche la lente gravitazionale, una tecnica sempre più centrale nella ricerca di oggetti estremamente distanti. Senza questa combinazione, una galassia simile resterebbe invisibile anche ai telescopi più avanzati.
Dati solidi ma ancora sotto verifica
Gli stessi ricercatori mantengono un approccio prudente. I dati raccolti indicano una direzione chiara, ma richiedono ulteriori conferme osservative. L’identificazione diretta delle stelle di Popolazione III resta una delle sfide più difficili dell’astrofisica moderna.
Ciò non riduce il valore dello studio. Al contrario, Lap1-b mostra quali strategie funzionano davvero per spingersi sempre più indietro nel tempo e individuare altri candidati simili.
Perché questa osservazione cambia la cosmologia

Individuare le prime stelle dopo il Big Bang permette di testare i modelli fondamentali dell’evoluzione cosmica. Offre informazioni dirette sull’inizio della reionizzazione dell’universo, sul ruolo della materia oscura e sulla nascita delle prime galassie.
Lap1-b non è solo una galassia lontana. È una finestra su un’epoca in cui l’universo ha acceso le sue prime luci, trasformando un cosmo buio in un ambiente ricco di strutture.
Il futuro della ricerca sull’alba cosmica
Il lavoro non si ferma qui. Gli astronomi continueranno a osservare Lap1-b e oggetti simili usando il James Webb e altri strumenti di nuova generazione. L’obiettivo è costruire un campione più ampio di galassie primordiali e confrontarne le proprietà.
Ogni nuova osservazione riduce le incertezze e avvicina la scienza a una risposta definitiva. Le prime stelle dopo il Big Bang stanno smettendo di essere solo una previsione teorica e stanno entrando nel campo dell’osservazione diretta.
Seguici anche su Instagram per restare aggiornato sulle scoperte spaziali e sull’evoluzione dell’astronomia moderna.