Negli ultimi anni, la crescente preoccupazione per la qualità dell’acqua potabile ha portato all’attenzione globale un fenomeno inquietante: la presenza di sostanze chimiche perenni, comunemente note come PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), in varie fonti d’acqua, comprese quelle imbottigliate.
Un recente studio ha rilevato che il 99% delle bottiglie d’acqua testate in diverse parti del mondo contenevano questi contaminanti, mettendo in discussione la sicurezza percepita dell’acqua in bottiglia, spesso considerata una scelta più salutare rispetto all’acqua del rubinetto.
I PFAS sono una vasta classe di composti chimici creati dall’uomo, utilizzati sin dagli anni ’40 in una vasta gamma di prodotti, dagli imballaggi alimentari ai rivestimenti idrorepellenti per tessuti e superfici.
Il loro soprannome, “sostanze chimiche perenni“, deriva dalla loro capacità di resistere alla degradazione ambientale, accumulandosi nel tempo negli ecosistemi e negli organismi viventi, rendendo queste sostanze collegate a una serie di problemi di salute, tra cui il cancro, disfunzioni tiroidee e complicazioni riproduttive.
Nonostante queste preoccupazioni, i PFAS continuano a essere presenti nell’ambiente e, come dimostra questo nuovo studio, persino nell’acqua che molti di noi consumano quotidianamente. Il problema risiede nella persistenza di queste sostanze chimiche: una volta rilasciate nell’ambiente, possono impiegare anni, se non decenni, per degradarsi. Questo le rende una minaccia a lungo termine per la salute pubblica e per l’ambiente.
Ma come sono arrivate queste sostanze nelle bottiglie d’acqua, un prodotto che dovrebbe essere sinonimo di purezza? E quali sono le conseguenze per la salute umana a lungo termine?
PFAS: diffusione e utilizzo
I PFAS, o sostanze perfluoroalchiliche, sono presenti in molti degli oggetti e materiali che usiamo quotidianamente, proprio grazie alle loro proprietà uniche: sono resistenti al calore, all’acqua e agli oli, rendendoli popolari in numerose applicazioni industriali e commerciali: dai rivestimenti per padelle antiaderenti alle confezioni alimentari resistenti ai grassi, dai tessuti impermeabili ai prodotti per la pulizia, i PFAS hanno trovato impiego in una vasta gamma di settori.
Anche in ambito sanitario, le loro proprietà sono state sfruttate per produrre dispositivi medici resistenti alla corrosione.
Ciononostante, proprio la loro resistenza alla degradazione rappresenta il principale problema ambientale, infatti decomponendosi facilmente, possono viaggiare attraverso l’aria, l’acqua e il suolo, contaminando intere catene alimentari, ed una volta che queste sostanze entrano negli ecosistemi, possono rimanervi per anni, passando da un organismo all’altro.
Studi recenti hanno dimostrato che i PFAS possono essere trovati persino nei ghiacci polari e nei tessuti degli animali selvatici, dimostrando che nessun ambiente, nemmeno quelli più remoti, è immune alla loro diffusione.
Questa capacità di persistere e diffondersi ha portato i PFAS ad essere definiti come “contaminanti globali“, in quanto non conoscono confini geografici, con l’acqua che rappresenta uno dei principali vettori di diffusione.
Impatti sulla salute umana
La preoccupazione principale legata ai PFAS risiede nei potenziali effetti negativi che hanno sulla salute umana, con studi epidemiologici condotti su popolazioni esposte a elevate concentrazioni di queste sostanze hanno evidenziato legami preoccupanti con varie malattie croniche. Tra i rischi documentati vi sono il cancro (in particolare del rene e dei testicoli), problemi al fegato, alterazioni del sistema immunitario, disturbi della fertilità e dello sviluppo embrionale.
Uno degli aspetti più inquietanti è che i PFAS possono accumularsi nel nostro organismo nel corso del tempo, essendo sostanze lipofiliche, tendono a concentrarsi nei tessuti adiposi e, una volta presenti nel corpo umano, possono rimanervi per anni, aumentando gradualmente il livello di esposizione.
Questo processo di bioaccumulo è particolarmente pericoloso perché espone a un rischio continuo anche dopo che la fonte di contaminazione è stata rimossa, di conseguenza, anche basse concentrazioni di PFAS nell’acqua o negli alimenti possono costituire una minaccia a lungo termine.
L’acqua imbottigliata viene spesso percepita come una scelta più sicura rispetto all’acqua del rubinetto, ma la presenza di PFAS nella maggior parte delle marche testate solleva serie preoccupazioni. Questa scoperta è particolarmente allarmante, poiché molte persone, preoccupate dalla qualità dell’acqua municipale, fanno affidamento sull’acqua imbottigliata per evitare potenziali contaminanti.
Ma come avviene questa contaminazione? Ci sono diverse possibili fonti. In alcuni casi, i PFAS possono penetrare nelle risorse idriche utilizzate per riempire le bottiglie, attraverso la contaminazione delle falde acquifere o dei corsi d’acqua vicini a siti industriali. In altri casi, potrebbero derivare dai materiali utilizzati per confezionare l’acqua stessa. Gli imballaggi in plastica, in particolare quelli progettati per resistere a temperature estreme o per migliorare la conservazione del prodotto, possono contenere tracce di queste sostanze.
È importante notare che, sebbene le concentrazioni rilevate siano generalmente molto basse, gli effetti cumulativi della presenza costante di PFAS nell’acqua che consumiamo ogni giorno sono motivo di seria preoccupazione, anche piccole dosi, accumulate nel tempo, possono contribuire all’esposizione totale e aumentare i rischi per la salute.
La regolamentazione dei PFAS: un quadro incerto
A livello globale, la regolamentazione delle sostanze perenni come i PFAS è ancora in fase di sviluppo, in molti paesi, i limiti massimi consentiti di PFAS nell’acqua potabile non sono ancora stati stabiliti, o variano significativamente da una giurisdizione all’altra. In alcuni stati degli Stati Uniti, ad esempio, le autorità locali hanno imposto restrizioni rigorose per ridurre i livelli di questi contaminanti, ma altri paesi, soprattutto nelle economie emergenti, non dispongono di normative altrettanto severe.
La complessità nella regolamentazione è legata anche al vasto numero di composti che rientrano nella categoria dei PFAS, esistono migliaia di varianti di queste sostanze, ciascuna con proprietà chimiche leggermente diverse.
Mentre alcune di queste sono state vietate o fortemente regolate, molte altre continuano a essere prodotte e utilizzate senza restrizioni significative, questo crea una sfida non solo per i governi e le autorità di controllo, ma anche per le aziende che devono garantire la sicurezza dei loro prodotti.
L’Unione Europea, ad esempio, sta attualmente lavorando per sviluppare una regolamentazione più stringente sui PFAS, ma la strada verso una normativa completa è ancora lunga. Intanto, negli Stati Uniti, la Environmental Protection Agency (EPA) ha iniziato a stabilire delle linee guida per il controllo di queste sostanze, ma l’implementazione di tali regolamenti può richiedere anni.
Se sei attratto dalla scienza o dalla tecnologia, continua a seguirci, così da non perderti le ultime novità e news da tutto il mondo!