Il petrolio è una delle fonti energetiche più importanti e utilizzate nel mondo moderno, ma da dove viene, e come si forma? In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande, esplorando le teorie scientifiche e i processi geologici che stanno alla base della formazione del petrolio.
Innanzitutto partiamo dal principio, ovvero cos’è il petrolio? Si tratta di una miscela liquida di vari idrocarburi, cioè composti organici formati da atomi di carbonio e idrogeno, ha un colore che può variare dal nero al verde scuro, un forte odore caratteristico dovuto alla presenta di composti solforati e azotati, ed è detto greggio o grezzo quando viene estratto dai giacimenti, prima di subire qualsiasi trattamento per trasformarlo in prodotti lavorati. Per quanto riguarda invece la sua densità questa è inferiore a quella dell’acqua, per cui tende a galleggiare sulla superficie dei bacini in cui si accumula.
Il petrolio è una fonte primaria di energia, in quanto può essere usato per produrre combustibili (come la benzina, il gasolio, il kerosene, il GPL), lubrificanti, materie plastiche, fibre sintetiche, detergenti, tinte e prodotti farmaceutici, inoltre è anche una fonte di informazioni geologiche, in quanto la sua composizione chimica e isotopica riflette le condizioni ambientali in cui si è formato.
Ma come si forma il petrolio? La sua formazione è un processo complesso e lungo, che richiede milioni di anni e particolari condizioni ambientali. La teoria più accreditata è quella biogenica, secondo cui il petrolio deriva dalla decomposizione della sostanza organica animale e vegetale in ambienti privi di ossigeno.
La sostanza organica proviene principalmente dal plancton marino, cioè l’insieme di organismi microscopici che vivono sospesi nell’acqua. Il plancton si nutre di sostanze nutritive presenti nell’acqua e svolge la fotosintesi clorofilliana, producendo ossigeno e biomassa, poi quando il plancton muore, i suoi resti si depositano sul fondo del mare, insieme ai detriti provenienti dai continenti; questo strato di materiale organico e inorganico costituisce il sedimento marino.
Il sedimento marino è soggetto a processi fisici e chimici che ne modificano le caratteristiche nel tempo, che si possono sintetizzare in 5 processi:
- il primo processo è la compattazione, cioè la riduzione dello spazio tra le particelle del sedimento sotto l’effetto della pressione esercitata dai nuovi strati che si sovrappongono. La compattazione fa aumentare la temperatura del sedimento e favorisce la perdita di acqua e gas;
- il secondo processo è la diageneza, cioè la trasformazione chimica del sedimento sotto l’azione di agenti come l’acqua, i sali minerali, i batteri e le radiazioni. La diageneza porta alla formazione di nuovi minerali e alla degradazione della sostanza organica, poi quest’ultima subisce una serie di reazioni chimiche che ne riducono il contenuto di ossigeno, azoto e solfo e ne aumentano quello di carbonio e idrogeno. In questo modo si forma il kerogene, una sostanza solida e insolubile che rappresenta il precursore del petrolio;
- il terzo processo è la catageneza, cioè la trasformazione termica del kerogene in idrocarburi liquidi o gassosi. La catageneza avviene quando il sedimento raggiunge profondità maggiori (da 2 a 5 km) e temperature più elevate (da 60 a 150 °C). A queste condizioni, il kerogene si spezza in molecole più piccole e leggere, che costituiscono il petrolio greggio il quale ha una composizione variabile a seconda della natura e della maturità del kerogene da cui deriva. In generale, il petrolio greggio è formato da una frazione leggera (alcani a catena corta, come il metano, l’etano, il propano e il butano), una frazione media (alcani a catena media e lunga, come l’esano, l’ottano e il decano) e una frazione pesante (aromatici, cicloalcani e composti solforati, azotati e ossigenati);
- il quarto processo è la migrazione, cioè lo spostamento del petrolio greggio dalla roccia madre, cioè la roccia sedimentaria in cui si è formato, alla roccia serbatoio, cioè la roccia permeabile in cui si accumula. La migrazione avviene per effetto della pressione esercitata dai fluidi presenti nel sottosuolo (acqua, gas, petrolio) e dalla spinta di Archimede, che fa salire il petrolio verso la superficie. Durante la migrazione, il petrolio può subire ulteriori trasformazioni chimiche e biologiche, che ne modificano la composizione e le proprietà;
- il quinto processo è l’accumulazione, cioè la raccolta del petrolio in strutture geologiche chiamate trappole. Le trappole sono formate da una roccia serbatoio, che contiene il petrolio, e da una roccia copertura, che lo isola dal resto del sottosuolo. Le trappole possono avere diverse forme e dimensioni, a seconda dei meccanismi che le hanno generate, ed i principali tipi di trappole sono:
- trappole strutturali: sono formate da deformazioni della crosta terrestre, come pieghe, faglie o domi salini, che creano degli spazi chiusi in cui il petrolio si raccoglie;
- trappole stratigrafiche: sono formate da variazioni nella permeabilità delle rocce sedimentarie, che impediscono al petrolio di fluire oltre un certo limite;
- trappole combinate: sono formate da una combinazione di fattori strutturali e stratigrafici.
Non tutto il petrolio che si forma nel sottosuolo riesce a raggiungere una trappola, una parte infatti può rimanere intrappolata nella roccia madre o disperdersi lungo il percorso di migrazione, mentre un’altra parte può fuoriuscire dalla trappola a causa di fratture o erosioni della roccia copertura, mentre invece quello che arriva in superficie può evaporare o ossidarsi in contatto con l’aria, oppure infiltrarsi nel suolo o nell’acqua.
Quando si è formato il petrolio?
La formazione del petrolio è un processo continuo che avviene da quando esiste la vita sulla Terra, tuttavia la maggior parte di quello che oggi estraiamo si è formata in determinati periodi geologici, caratterizzati da condizioni favorevoli alla produzione e alla conservazione della sostanza organica.
I principali periodi geologici in cui si è formato l'”oro nero” che oggi utilizziamo sono:
- il Paleozoico (da 541 a 252 milioni di anni fa): in questo periodo si sono formati i primi organismi pluricellulari e le prime piante terrestri. Il clima era caldo e umido, favorendo la crescita di foreste tropicali e paludi, queste ultime erano ricche di sostanza organica vegetale, che si è trasformata in carbone e in parte in petrolio. Il Paleozoico ha visto anche la formazione dei primi bacini marini profondi e isolati, dove si è depositato il plancton marino che ha dato origine al petrolio;
- il Mesozoico (da 252 a 66 milioni di anni fa): in questo periodo si sono sviluppati i dinosauri e i mammiferi, il clima era ancora caldo e umido, ma con maggiori variazioni stagionali mentre invece le foreste tropicali erano meno estese e più variabili nella composizione. I bacini marini erano più ampi e comunicanti, con una maggiore circolazione di acqua e plancton, inoltre questo periodo ha visto anche la frammentazione della Pangea, il supercontinente che riuniva tutte le terre emerse, e la formazione di nuove catene montuose e vulcani, tutti eventi che hanno creato nuove trappole geologiche per il petrolio;
- infine abbiamo il Cenozoico (da 66 milioni di anni fa a oggi): in questo periodo si sono estinti i dinosauri e si sono evoluti gli uccelli, i mammiferi e gli esseri umani. Il clima è diventato più freddo e secco, con l’avvento delle ere glaciali, le foreste tropicali si sono ridotte e si sono diffuse le praterie e le savane, i bacini marini sono diventati più profondi e variabili, con la formazione di correnti oceaniche e zone di upwelling (risalita di acqua fredda e ricca di sostanze nutritive), inoltre ha visto anche la formazione di nuove catene montuose, come l’Himalaya e le Ande, e di nuove faglie, come il Rift Valley africano.
Ma è vero che il petrolio è dovuto ai dinosauri?
Una delle credenze più diffuse fa pensare che sia dovuto ai resti dei dinosauri sepolti nel sottosuolo, idea che è stata diffusa da alcuni film, libri e cartoni animati, che mostrano i dinosauri come enormi serbatoi di petrolio ambulanti, tuttavia questa idea è errata per diversi motivi.
I dinosauri erano animali terrestri, che vivevano sulla superficie della Terra, e per oro nero, i loro resti sarebbero dovuti essere sepolti rapidamente e profondamente nel sottosuolo, in ambienti anaerobici (senza ossigeno), un evento molto improbabile, in quanto i resti dei dinosauri erano esposti all’azione degli agenti atmosferici, dei predatori e dei decompositori, che ne avrebbero distrutto o disperso la maggior parte.
Oltre a ciò i dinosauri erano animali relativamente recenti nella storia della vita sulla Terra, essi sono infatti apparsi circa 230 milioni di anni fa e si sono estinti circa 66 milioni di anni fa, e come abbiamo visto, la maggior parte di questo idrocarburo da noi oggi usato, si è formao in periodi geologici precedenti ai dinosauri, come il Paleozoico e il Mesozoico, indi per cui non può essere dovuto ai dinosauri.
A confermare ciò c’è anche il numero degli esemplari, infatti i dinosauri erano animali poco numerosi rispetto ad altri organismi viventi, essi rappresentavano solo una piccola frazione della biomassa terrestre, mentre la maggior parte della sostanza organica proveniva dalle piante e dal plancton marino.
In conclusione, possiamo dire che il petrolio non è dovuto ai dinosauri, ma alla trasformazione della sostanza organica proveniente principalmente dal plancton marino.
Il petrolio è una risorsa naturale non rinnovabile, cioè limitata nel tempo e nello spazio, e la sua quantità presente nel sottosuolo dipende dalla sua formazione, migrazione e accumulazione nei giacimenti, mentre la quantità disponibile per l’uso umano dipende dalla sua scoperta, estrazione e consumo.
La scoperta del petrolio avviene attraverso l’esplorazione geologica, cioè lo studio delle caratteristiche fisiche e chimiche del sottosuolo per individuare le possibili trappole geologiche in cui si trova; l’esplorazione geologica si basa su diversi metodi, come la cartografia geologica (la rappresentazione grafica delle rocce affioranti), la geofisica (la misurazione delle proprietà fisiche del sottosuolo), la geochimica (l’analisi delle proprietà chimiche del sottosuolo e dei fluidi in esso contenuti).
L’esplorazione geologica si avvale anche di tecnologie avanzate, come il telerilevamento (l’osservazione del sottosuolo da satelliti o aerei), la perforazione (la realizzazione di pozzi per prelevare campioni di roccia o fluidi) e la sismica (la generazione e la registrazione di onde sonore che si propagano nel sottosuolo e ne rivelano la struttura).
L’estrazione avviene attraverso l’attività di pozzi, cioè aperture verticali o inclinate che raggiungono la roccia serbatoio e ne consentono il flusso verso la superficie. L’estrazione del petrolio può essere primaria, secondaria o terziaria, a seconda del metodo usato per aumentare la pressione e la permeabilità della roccia serbatoio, nello specifico:
- l’estrazione primaria si basa sulla pressione naturale del giacimento, che lo spinge verso il pozzo;
- l’estrazione secondaria si basa sull’iniezione di acqua o gas nel giacimento, che lo sposta verso il pozzo.
- l’estrazione terziaria si basa sull’iniezione di sostanze chimiche, termiche o biologiche nel giacimento, che modificano la sua viscosità e la sua densità, facilitandone il flusso verso il pozzo.
Il consumo del petrolio avviene attraverso l’utilizzo dei suoi derivati in vari settori economici e sociali, come i trasporti, l’industria, l’agricoltura, il riscaldamento, l’illuminazione e la produzione di energia elettrica, tuttavia il suo consumo comporta anche degli impatti ambientali negativi, come l’inquinamento atmosferico, l’effetto serra, i cambiamenti climatici, le piogge acide, i danni alla biodiversità e i rischi di incidenti.
La quantità presente nel sottosuolo è stimata in circa 1700 miliardi di barili, di cui circa 1200 miliardi sono considerati riserve provate, cioè quantità di petrolio che possono essere estratte con le tecnologie attuali e a un costo accettabile, con la quantità disponibile per l’uso umano che, come già detto, dipende anche dal tasso di consumo, cioè dalla quantità di petrolio che viene usata ogni anno.
Il tasso di consumo mondiale è stimato in circa 100 milioni di barili al giorno, con una crescita media annua dell’1%, ed a questo ritmo, le riserve provate potrebbero esaurirsi entro il 2050, tuttavia queste stime sono soggette a molte incertezze e variabili, come la scoperta di nuovi giacimenti, lo sviluppo di nuove tecnologie, le politiche energetiche, i conflitti geopolitici, le preferenze dei consumatori e le alternative.
Per questo motivo, non è possibile prevedere con precisione quando il petrolio finirà, ma solo stimare dei possibili scenari; in conclusione, possiamo dire che il petrolio è una risorsa naturale preziosa ma limitata, che richiede una gestione responsabile e sostenibile da parte dell’umanità.
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