Cosa succede alle particelle più massicce dell’universo quando vengono spinte al limite? Un team internazionale di fisici ha pubblicato un’importante ricerca che prova a rispondere a questa domanda, portandoci indietro di miliardi di anni, fino ai primissimi istanti dopo il Big Bang.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Physics Reports, è firmato da Juan M. Torres-Rincón (Università di Barcellona), Santosh K. Das (Indian Institute of Technology Goa) e Ralf Rapp (Texas A&M University).

I tre ricercatori hanno messo insieme una rassegna dettagliata sul comportamento di particelle contenenti quark pesanti (i cosiddetti adroni charm e bottom) quando si trovano immerse in un ambiente a temperature e densità estreme e lo stesso che si crea durante le collisioni tra nuclei atomici nei grandi acceleratori come il CERN e il RHIC.
Una zuppa primordiale
Durante una collisione ad altissima energia tra nuclei atomici, le temperature raggiungono livelli che superano di migliaia di volte quelle al centro del Sole e in queste condizioni estreme, la materia come la conosciamo si scioglie in un plasma di quark e gluoni (QGP), una sorta di “zuppa” subatomica che esisteva per pochissimi microsecondi dopo il Big Bang.

Quando il plasma si raffredda, si trasforma in materia adronica, fatta di particelle come protoni e neutroni, ma anche mesoni e barioni. Ed è proprio in questa fase di transizione che entrano in gioco gli adroni pesanti: particelle che si comportano come vere e proprie “sonde” dell’ambiente circostante.
I sensori dell’universo primordiale
Gli adroni pesanti (come i mesoni D e B) sono prodotti all’inizio della collisione e, a causa della loro massa, si muovono più lentamente rispetto ad altre particelle. Questo li rende perfetti per studiare il modo in cui la materia si comporta mentre evolve da una fase di caos incandescente a uno stato più “freddo” e ordinato.
I ricercatori hanno esaminato sia dati sperimentali sia modelli teorici per capire come queste particelle interagiscano con le altre durante la fase adronica. Il risultato? Anche quando la “tempesta” della collisione sembra finita, le particelle pesanti continuano a interagire, perdendo energia e modificando la loro traiettoria.
Juan M. Torres-Rincón spiega: “Per interpretare davvero cosa succede in questi esperimenti, dobbiamo studiare anche la fase finale della collisione. È lì che si gioca una parte fondamentale della storia“.
Una piscina affollata
Per capirlo meglio, pensiamo a una piscina piena di persone. Se gettiamo dentro una palla pesante, anche dopo che le onde si sono placate, la palla continuerà a urtare i presenti, modificando lentamente il suo moto e così fanno anche gli adroni pesanti: le loro interazioni post-collisione forniscono indizi cruciali su com’era l’universo ai suoi albori.

Prospettive future
Capire il comportamento delle particelle pesanti in ambienti così estremi aiuta non solo a ricostruire la storia dell’universo, ma anche a migliorare le simulazioni nei grandi laboratori scientifici. Inoltre, apre la strada a nuovi esperimenti a energie più basse, come quelli previsti presso l’SPS del CERN e il futuro impianto FAIR in Germania.
In breve: studiare queste particelle è un po’ come leggere il diario dell’universo, scritto in codice subatomico. E ogni nuova riga che riusciamo a decifrare ci avvicina un po’ di più a comprendere le nostre origini cosmiche.